Riteniamo giusto che si aggiungano alla costituenda poderosa opera omnia del giornalista di Pianaccio quelle che sono forse le pagine più intense, come l'appassionata recensione di "Süss, l'ebreo".
Gaspare e Roberto De Caro firmavano il 5 settembre scorso un documentato articolo sulla «memoria selettiva» di Enzo Biagi, di cui oggi riscopriamo l'attualità grazie a Informazione Corretta.
Quando, precisamente, il giornalista recentemente scomparso, salutato al suo funerale sui versi di "Bella Ciao", scelse i partigiani? Intorno al 24 luglio 1943, come lascia credere? Biagi, scrivono gli autori, «glissa sui particolari, e crediamo sia giusto informare i lettori che non fu affatto "in quei giorni" che "scelse i partigiani", poiché qui le date contano e l'omissione non è innocente»
Biagi scriveva già diciassettenne sull'Avvenire d'Italia e su L'Assalto, "organo della federazione dei fasci di combattimento di Bologna", e in seguito su Il Resto del Carlino, dove divenne professionista nel giugno del '42. Partecipò anche a Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, il ministro delle leggi razziali, che "ha sempre stimato" e nei confronti del quale ha pubblicamente confessato il proprio "dovere di gratitudine" (Enzo Biagi, Ma che tempi, Rizzoli, Milano 1998, p. 43).
Per L'Assalto Biagi scrisse un elogio del film "Süss, l'ebreo", di cui Himmler impose la visione alla Wehrmacht e alle SS: "Una propaganda che non esclude l'arte - che è posta al servizio dell'idea... trascina il pubblico all'entusiasmo", chiosava Biagi. Così "molta gente apprende che cosa è l'ebraismo, e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte" (4 ottobre 1941).
Dopo l'8 settembre, Biagi «rimase al servizio della causa repubblichina fino alla tarda primavera del '44, continuando a svolgere compiti redazionali... L'ultimo articolo apparve il 17 giugno su Settimana: Illustrato del Resto del Carlino».
Fu solo dopo la caduta di Roma e lo sbarco in Normandia, eventi che avevano «illuminato definitivamente il futuro, e quando giunse, non più aggirabile, la chiamata alle armi nell'esercito di Salò», che Biagi «preferì la montagna», come tanti altri giornalisti e intellettuali. Tornò a Bologna dieci mesi dopo, con indosso una divisa dell'esercito americano.
Questi i passaggi essenziali, ma per i particolari vi rimando alla lettura dell'articolo intero. Duro il giudizio di Gaspare e Roberto De Caro: «Se riscattò con la sua tardiva conversione quegli "anni di servilismo e di abiezione professionale e morale" (Onofri, op. cit., p. 264), non è dato sapere con certezza. Forse. Ciò che invece è sicuro è che fu complice attivo e non accidentale delle nefandezze del fascismo: poteva scegliere e lo fece. Non era il solo? non è un alibi, come ammonisce Hannah Arendt. Era giovane? Non abbastanza: aveva l'età di Piero Gobetti quando fu bastonato a morte e delle decine di migliaia di connazionali che il regime mandò a uccidere e morire mentre lui si assicurava i dividendi di spettanza. E se l'Asse avesse vinto la guerra, che gli sarebbe successo? Be', questo è facile: Auschwitz o no, avrebbe percorso la sua brillante carriera, come poi ha fatto. All'ombra del potere in fiore».
4 comments:
Ma com'e' che qui non commenta nessuno?
Rispondi a questa domanda: Secondo l'uomo e' veramente interessato alla Verita'.
Sii sincero. Tu lo sei?
Secondo te, l'uomo e' veramente interessato alla Verita'?
E tu lo sei?
Sii sincero.
Probabilmente non commenta nessuno perchè " mortui nihil nisi bonum "
Non so , forse è ipocrita , ma io lo sento .
Ma questo anonymous chi è? Uno della Santa Inquisizione?
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