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Thursday, November 29, 2007

Il futuro del Medio Oriente passa per Washington. Nonostante la guerra irachena

... o anche grazie a quella guerra, che per molti avrebbe dovuto provocare l'isolamento degli Usa da parte delle piazze e delle capitali arabe?

La situazione si va lentamente normalizzando in Pakistan, dopo che il 3 novembre scorso Musharraf aveva proclamato lo stato d'emergenza e dato il via a una serie di arresti. Il generale/presidente sta rientrando nel solco tracciato d'intesa con gli Usa per la democratizzazione del paese. Musharraf non è più a capo dell'esercito: ha finalmente rinunciato al suo potere militare e ha giurato da presidente, in abiti civili. Le elezioni si terranno come previsto entro il 15 gennaio. Gli oppositori arrestati sono stati liberati. Sharif e Benazir Bhutto potranno candidarsi alle elezioni, anche se comprensibilmente gridano ad "elezioni farsa" per il permanere delle leggi d'emergenza. Pare che tutto o quasi, comunque l'essenziale, stia andando come chiedavano gli oppositori e come suggerivano gli americani.

Nel frattempo, la conferenza di Annapolis ha lanciato una nuova stagione di negoziati tra israeliani e palestinesi. Il coinvolgimento nel summit di importanti paesi arabi a livello dei ministri degli Esteri e la presenza, la collaborazione europea, sono già dei risultati politici: un segnale promettente verso il consolidamento di quell'"alleanza" che Washington sta faticosamente cercando di comporre tra paesi sunniti e Occidente per il contenimento della minaccia egemonica dell'Iran sull'intera regione.

Solo di una «photo opportunity» si è trattato, ha osservato Carlo Panella su Il Foglio. Ma difficilmente una «photo opportunity» è stata così politicamente significativa. Un'immagine addirittura «clamorosa» ne è scaturita, perché «ha visto tutti i paesi islamici e arabi del mondo (escluso l'Iran) rendere omaggio alla saggia iniziativa di George W. Bush. Per la prima volta nella storia anche questo, soltanto questo, una foto, ha assunto un suo significato profondissimo... Il vero, straordinario risultato che George W. Bush e Condoleezza Rice sono riusciti a conseguire – a quattro anni dalla guerra a Saddam – è di avere costretto tutto il mondo musulmano e arabo a riconoscere la propria leadership incontrastata. Tutti sono dovuti andare ad Annapolis» per non rimanere isolati come l'Iran; anche la Siria.

Certo, ancora nulla di concreto è emerso riguardo le possibili soluzioni ai problemi che dividono israeliani e palestinesi. Li aspettano mesi di durissimo lavoro. Soprattutto sul nodo centrale dei profughi e del carattere ebraico dello Stato di Israele, una questione prima di tutto di volontà politica. Su questo, osserva Panella, «dovrà esercitarsi al massimo la pressione internazionale, per convincere gli stati arabi, Arabia Saudita ed Egitto in primis, a riconoscere – nonostante i sicuri e gravissimi contraccolpi islamisti sul piano interno – il riconoscimento del diritto degli ebrei in quanto tali ad avere uno stato in Palestina». Senza questa pressione, con il contributo dell'Europa che può essere determinante, l'insuccesso è assicurato.

Da notare, segnalata da Maurizio Molinari, la grande sintonia tra il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, e il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, per una pace in Medio Oriente basata sui processi democratici, la lotta al terrorismo e l'isolamento di un Iran smanioso di procurarsi la bomba atomica. E a dimostrazione della ritrovata intesa tra Parigi e Washinton, il primo seguito formale di Annapolis è previsto proprio nella capitale francese.

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