O punta al referendum elettorale o non ha senso
C'è qualcosa che non mi torna negli annunci di Berlusconi di questi giorni, ieri a Milano, in mezzo alla folla in delirio di Piazza San Babila, e oggi a Roma, a Piazza di Pietra.
Non mi pare, dalle risposte di Fini e Casini, ma anche per le modalità e i tempi, che questo Partito del popolo o della libertà sia pensato per dare avvio a un processo unitario dei partiti del centrodestra. Non mi pare che sia un tentativo di strutturare diversamente, semplificandola, la CdL, quanto piuttosto di sancirne la chiusura, come ammesso dallo stesso Berlusconi definendo «impossibile» il bipolarismo in Italia. Dunque, sarà il nuovo partito di Berlusconi, più democratico e aperto di Forza Italia, quindi capace di "azzerare", "resettare" Forza Italia, forse andando anche oltre i suoi numeri. Insomma, non un progetto unificante speculare a quello del Partito democratico, ma la risposta personale di Berlusconi al Pd in termini di novità politica e una sfida aperta ai suoi (ormai ex?) alleati.
A meno che, come azzardavamo in un post di questa mattina, seguendo un'ipotesi di Panebianco, Berlusconi non abbia scelto la legge elettorale che uscirebbe dal referendum e stia già preparando il contenitore in cui, prima o poi, gli alleati saranno «costretti a compattarsi dietro di lui». Ma con quella legge la sfida potrebbe anche ridursi davvero a due soli partiti: Pd e PPL.
La conferenza stampa di stasera non ha dipanato, ma ispessito i dubbi.
Se proviamo a ridurre all'osso il discorso di Berlusconi, al netto del suo impatto mediatico e scenografico, rimane un cambio di strategia di fatto in linea con quanto a lungo gli veniva suggerito dagli (ex) alleati: fallita la "spallata" al Governo Prodi, l'apertura al dialogo sulla legge elettorale.
L'unica differenza, che ha colto in contropiede, impreparati, Fini e Casini, è che Berlusconi con l'annuncio del nuovo partito ha voluto scrollarsi di dosso proprio loro, anzi, ha voluto implicitamente sfidarli a contendergli la leadership nel nuovo partito. In ogni caso, ha voluto chiudere la stagione della CdL prima di farsi logorare, preparandosi a gestire in prima persona, da solo, mani libere, la stagione del dialogo con Veltroni.
Com'era prevedibile e anche ragionevole, alla luce delle considerazioni che facevamo qualche giorno fa, Berlusconi ha posto una condizione precisa: l'assicurazione che una volta approvata la legge elettorale si torni subito al voto, già nel 2008.
Veltroni però ha già risposto e negativamente: «Nessuna forma di scambio tra approvazione della legge elettorale e immediato ritorno alle urne». E ha anche tenuto il punto sul fatto che il dialogo non potrà essere circoscritto alla sola legge elettorale, ma dovrà riguardare tutte le riforme istituzionali. Ma con questi numeri al Senato, e l'inconsistenza politica di entrambe le coalizioni, volersi impantanare in una riforma della Costituzione rivela un proposito meramente dilatorio della legislatura. Che l'apertura di Berlusconi possa trasformarsi effettivamente in un dialogo resta difficile.
La situazione, notavamo, appare bloccata da una reciproca e fondata diffidenza: da una parte Berlusconi non può fidarsi - e fa bene - perché teme che il dialogo sia strumentale alla sopravvivenza di Prodi e al consolidamento del Pd e delle "armate" veltroniane; d'altra parte, neanche Veltroni può fidarsi: non è detto, infatti, che sacrificando Prodi per ottenere la disponibilità di Berlusconi, a quel punto il Cav. non determini le condizioni per un fallimento del dialogo per tornare subito alle urne.
Ma la cosa che più non torna è che anche Berlusconi si lamenti dell'ingovernabilità dovuta ai ricatti e ai veti dei piccoli partiti, dell'impossibilità per entrambe le coalizioni di realizzare i loro programmi riformatori, ma anche Berlusconi, a fronte di tutto questo, apra a una legge elettorale che «non può che essere proporzionale... un proporzionale puro ma con sbarramento che eviti un eccessivo frazionamento».
A meno di non interpretare questa apertura come una mossa esclusivamente tattica, non riesco a vedere alcuna logica nella voglia di ritorno al proporzionale da parte dei maggiori partiti dei due schieramenti.
E' vero, permetterebbe sia a Veltroni che a Berlusconi di presentare i loro partiti da soli, senza imbarazzanti o scomodi alleati. Ma a meno di non sperare di ottenere il 51% dei voti, all'indomani delle elezioni si dovrà pure formare un governo. E il proporzionale puro, seppure con uno sbarramento, che non potrà evidentemente superare il 5%, conduce a governi di coalizione, sulla base di un programma al quale non ci si sarebbe vincolati davanti agli elettori, ma frutto di consultazioni post-elettorali. Insomma, esattamente come venti o trent'anni fa, quando i governi non duravano che qualche mese.
E' impossibile in Italia soddisfare il criterio della stabilità dei governi con una legge elettorale proporzionale, che in un sistema parlamentare come il nostro produce governi di coalizione. I sistemi che garantirebbero stabilità ai nostri governi sono il premierato o il presidenzialismo. Con il superamento dello strumento della "fiducia", allora sì, governi e legislature, entrambi legittimati direttamente dall'elettorato, potrebbero giungere alla scadenza naturale dei loro mandati. Non si parlerebbe tutti i giorni di "spallate", ma le opposizioni sarebbero costrette a fare politica.
Nell'impossibilità di approvare riforme costituzionali di questa portata, soprattutto in questa legislatura, gli unici sistemi elettorali in grado di semplificare il quadro, e rendere più stabile ed efficace l'azione dei governi, sono l'uninominale, a turno unico o doppio, o il proporzionale spagnolo, associati però alla modifica degli attuali regolamenti parlamentari, che incoraggiano la frammentazione post-elettorale.
Ebbene, Berlusconi invece apre al proporzionale puro: dopo aver superato il 30% (supponiamo persino che sfiori il 40%), con chi pensa di governare - e per fare cosa? S'illude che non subirebbe ricatti?
8 comments:
Bravissimo. Concordo al 100%. Io sono per il referendum. Il Cav. ieri mi ha lasciato senza parole.
E' una interpretazione plausibile come tante altre che appaiono oggi sui giornali. Tutte verosimili, tutte in parte fantasiose ed in parte realistiche. Come è ovvio che sia per chi guarda e non può partecipare.
Ma di sicuro lo scenario è più fluido, molto più fluido di prima.
E i grandi giocatori non hanno mai una sola carta da giocare.
Potrebbe anche cadere il Governo all'improvviso. Così le carte si rimescolerebbero ancora una volta.
Resto convinto che il bipartitismo sia nei desideri di grandissima parte degli Italiani. Tra l'altro, dovrebbe comportare un ridimensionamento dei costi della politica.
Tutt'altro è lo spirito di soppravvivenza ad ogni costo dei cespugli più o meno piccoli, dai Mastelliani ai postdemocristiani dell'UDC, ai tanti Comunisti sparsi qua e là.
E' ovvio che a tutti questi non va bene nè il referendum, nè un proporzionale con circoscrizioni talmente piccole da ottenere uno sbarramento reale ben più alto del 5%. In pratica, il proporzionale tedesco di un Veltroni sembra molto diverso dal prop.tedesco di un Casini. E forse da quello di un Berlusconi.
Il fermento attuale può davvero sortire gli scenari più imprevedibili. Nessuno sa davvero come finirà.
Ed una vecchia volpe raffinatissima sostiene che alla fine si andrà a votare con questa legge elettorale.
Intanto assistiamo al probabile rafforzamento di grandi contenitori di nuovo (chissà?) conio con un PD ancora socialdemocratico, onusiano, mediterraneo e sedicente riformista e liberalizzatore, ma anche profondamente conservatore dei rapporti di forza economico-finanziari del salotto buono e del sindacato e delle clientele del settore pubblico, un partito che va, su altri temi, dal sen.Marino alla sen.Binetti, mentre dall'altra parte, tra lo scaltro Capezzone ed il clericale Giovanardi, si aggregano la difesa delle forti clientele corporative e familiari accanto ad alcune storicamente fragili istanze liberali e riformatrici, il tutto condito con professione atlantica, occidentale e vaticana.
Non c'è che dire, un bel quadretto.
Certamente, però, "più divertente", incasinato ed unico, rispetto a qualsiasi Paese civile europeo ed anglosassone.
Ma questa è... l'Italia.
Non molto... civile.
Ciao.
Direi che il Cav. ha fatto ciò che molti gli chiedevano da tempo: mandare platealmente a fare in culo Fini e Casini (la mossa di andare da Storace era solo un assaggio, evidentemente) e puntare a correre da solo. L'espressione volgare la uso volutamente, perchè il gesto di Berlusconi secondo me è senza mezzi termini e molto diretto, plateale: se volete, mettetevi in fila e provate a giocarvela con me dentro uno stesso partito, altrimenti addio.
La mossa del proporzionale non la capisco, a meno che... a meno che punti al sistema spagnolo, che di fatto schiaccia i partitini, salvando solo (guarda caso) la Lega, l'unico alleato di cui ormai (forse) si fida ancora.
Però io preferirei il sistema francese, e via. Con solo un piccolo cambiamento: ad ogni candidato per il seggio uninominale può corrispondere un solo partito (questo obbligherebbe i più piccoli a fondersi insieme o unirsi ai più grandi). A quel punto resterebbero solo due partiti: a sinistra il PD, a destra l'erede di FI. E saluti a tutti gli altri.
offtopic non ce lo hai un sito?
fai osservazioni interessanti e che in gran parte condivido.
No, non ce l'ho un sito, nè ho più alcuna velleità di averne. Ed è un bene per me.
COUNTERBLOGGER vi invita a visitare COUNTERBLOG, il blog che vi mostra chi siete davvero.
http://counterblog.splinder.com
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Vale la seconda. Si va al referendum, e a un duopolio DC-PCI, se si impone una cattiva politica, come temo. Va da sé che spero che i liberali/liberisti non entreranno se non in forma autonoma nel dualismo in vista.
Paolo di lautreamont
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