Thursday, January 15, 2004
Palermo - I settori politici («Gli accusatori di Andreotti e Dell'Utri, in difficoltà per lo scandalo Ciuro, non fanno nomi - ma il nome è: Violante») che hanno legittimato la "primavera" di processi politici palermitani partiti dall'era Caselli si sono ritirati, lasciando con il culo scoperto i pochi fedelissimi procuratori siciliani anti-Grasso. Questa l'esternazione del pm Ingroia a Primo Piano. Sul Foglio di oggi: «L'Unità ha pubblicato una lunghissima lettera – quasi una controsentenza – inviata da Caselli e dai suoi tre ex sostituti al presidente della Repubblica e al Csm perché facciano sapere al Parlamento, alla Cassazione e a tutto il vasto mondo che "il processo Andreotti andava comunque fatto". Tanto è vero, vi si legge, che la Corte d'appello di Palermo, presieduta da Salvatore Scaduti, ha prescritto – ritenendole quindi provate – le mafioserie commesse dal solforoso senatore a vita negli anni della mafia ruggente, quella di Stefano Bontade e Tano Badalamenti, di Salvo Lima e dei cugini Nino e Ignazio Salvo. Ma c'è un ma. Che tiene insieme sia il messaggio di Ingroia che la lettera di Caselli. Il senatore Andreotti, dopo essersi liberato dei 24 anni di carcere piovutogli addosso per Pecorelli, ha presentato alla Suprema corte un secondo ricorso con il quale chiede l'annullamento anche di quella parte della sentenza Scaduti che lascia una "mascariata" sulla sua lunga carriera di uomo politico. Cosa succederebbe se la Cassazione – che già ha smentito tredici volte, che scalogna, le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, pietra angolare di tutte le accuse di Caselli – spazzasse via anche quest'ultima nube? Apriti cielo. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, potrebbe aprire la cartellina, ancora custodita in cassaforte, nella quale un diligente ufficio di ragioneria ha assommato, voce dopo voce, i costi del processo del secolo. Una cifra da capogiro: 87 (dicesi ottantasette) miliardi di vecchie lire: tanto per gli avvocati dei pentiti, tanto per le trasferte dei magistrati, e coì via elencando. Niente di scandaloso: la giustizia ha costi che non si discutono, anche quando assolve. Ma il processo Andreotti – e Ingroia indirettamente lo ammette – non era un processo e basta. Era il processo che avrebbe dovuto dare la spallata politica. Era un processo che "la magistratura non poteva tenere sulle sue spalle da sola"».
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