Sana'a: due silenzi imperdonabili?
Alla conferenza di Sana'a, organizzata dal governo yemenita e da Non c'è pace senza giustizia si sono recati settecento delegati, a fronte dei duecentocinquanta previsti alla vigilia, provenienti da tutti i maggiori paesi arabi e islamici della regione e da decine di ong occidentali e arabe. Temi: democrazia, diritti umani, Corte penale internazionale (Leggi gli aggiornamenti su RadioRadicale.it). Non ho seguito i lavori, ma pare che al centro sia stata la questione dell'"esportazione della democrazia" nel mondo arabo. Il presidente della Repubblica dello Yemen Ali Abdulleh Saleh, aprendo la conferenza, ha spiegato che lo Yemen è ancora lontano dall'obiettivo della piena democrazia e che tuttavia può essere d'esempio, perché sia chiaro che «nessuna soluzione che viene dall'esterno può considerarsi opportuna». Palese il riferimento alla soluzione statunitense per l'Iraq (non a caso la delegazione del Governo provvisorio iracheno è stata accolta con un po' di freddezza) e rappresenta un punto di vista comune a molti riformisti nel mondo arabo.
Presente al meeting anche Saad Eddin Ibrahim, dissidente egiziano: «E' inutile negarlo - ha osservato anch'egli - gli arabi musulmani hanno una pessima considerazione degli Stati Uniti. Quindi l'Unione Europea è il partner più adatto per avviare un percorso democratico che parta dall'Occidente, ma proponga un approccio diverso da quello americano»: abbandonare l'approccio militare adottato dagli Usa, perché le minacce non servono ed è più utile il dialogo. L'Unione europea inoltre, potrebbe tendere una mano alla società civile araba che rappresenta la linfa vitale della democrazia» e «contribuire allo sviluppo dei media arabi in modo che questi diventino più oggettivi e professionali. Gli europei, insomma, ci aiutino a creare un'informazione libera e indipendente». Analogo discorso per il sistema giuridico. Un appello rivolto anche ai «partiti politici europei, perché aiutino i partiti arabi nello sviluppo della loro forma organizzazitiva e nella mobilitazione». Tutto bello e giusto, ma dov'è questa "buona" Europa? Esiste davvero da qualche parte? Che attenzione ha riservato a questo appuntamento? E ad altri simili? Primo silenzio.
Inevitabile che si parlasse anche di Palestina: «Fermare le violazioni contro i fratelli palestinesi», è stato l'auspicio rivolto sia dal presidente della Repubblica Saleh, sia dal segretario della Lega araba, Amr Moussa. «Israele si ostina a dare una risposta negativa alla giusta richiesta di uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme». ??? Moussa non sembra certo aggiornato, non che me l'aspettassi, su chi si ostina a non compiere i passi indicati dalla road map. Israele, insiste, «commette violazioni quotidiane dei diritti dei palestinesi», ad esempio, «il muro che sta costruendo è una violazione del diritto penale internazionale sulla quale si potrebbe richiamare l'attenzione della Corte penale internazionale». Ed ecco che delle due, l'una: o si ha un'idea distorta della giovane Corte o si materializzano le perplessità Usa nei suoi cofronti.
Aspettiamo la dichiarazione conclusiva di domani, che dovrebbe sancire «un obbligo politico, non certo legale» di governi e società civile insieme, a sottolineare la necessità di realizzare quel complesso sistema di principi, leggi e comportamenti che «porteranno un futuro migliore ed una cooperazione internazionale per un maggior dialogo tra le civiltà». Significherà democrazia nel mondo arabo? Probabilmente non ancora. A prescindere dai suoi risultati concreti l'appuntamento yemenita rappresenta un precedente di capitale importanza per quanti credono possibili riforme democratiche in Medio Oriente con metodi diversi dall'uso della forza militare occidentale. Tuttavia, ad una prima e superficiale occhiata, ci si può rammaricare di un secondo silenzio, dopo quello prodotto dalle istituzioni europee: possibile che sia totalmente mancata, negli interventi di oggi, una buona dose di autocritica da parte degli stessi paesi arabi? Anche le ong sembrano cadere in questo equivoco. Quasi che i destini dei popoli arabi si giochino nelle capitali occidentali (i "cattivi" di Washington e i "buoni" di Bruxelles) e non siano invece nelle mani dei governi autocratici della regione. Ci si attende questo o quell'approccio, ma sempre un «percorso che parta dall'Occidente»: "l'America è cattiva, dicunt, e deve cambiare atteggiamento, l'Europa invece è più buona, ma deve impegnarsi". E gli arabi? Non vedono ancora la necessità di cambiare loro stessi e i Paesi in cui vivono? Mi aspetto questo da Sana'a: una presa di coscienza maggiore.
In attesa di sapere come i media hanno coperto quello che rimane un evento eccezionale nel panorama politico mediorientale, possiamo solo sperare di non dover, domani, parlare di un terzo silenzio.
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