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Friday, August 13, 2004

Venti di riforma all'Onu. L'Italia ai margini

«Fra venti giorni la prima stesura del testo di riforma delle Nazioni Unite, che sarà completato poi a dicembre e sottoposto all'Assemblea Generale dei 191 membri, uno per ogni paese Povrano del pianeta, nel settembre 2005. In Italia non se ne parla, ma chi si prende la briga di seguire la stampa africana, asiatica, americana scopre una partita formidabile. Kofi ha investito sedici saggi, dall'ex generale americano Brent Scowcroft, all'ex premier russo Yevgenj Primakov, alla signora Brutland norvegese e all'uomo che cancellò la pena di morte in Francia, Robert Badinter, del compito di redigere il manuale per cambiare le Nazioni Unite».

La proposta: «24 membri, i cinque permanenti attuali, 7 o 8 semipermanenti, eletti cioè per 4 o 5 anni, fra cui India, Brasile, Germania, Giappone, Sud Africa. Infine 11 o 12 membri non permanenti, eletti per un paio di anni, come adesso. A garantire la transizione tra passato e futuro il diritto di veto, che resterebbe appannaggio solo dei cinque membri permanenti dal 1945. Se approvata da due terzi dell'Assemblea Generale la riforma assicurerebbe che, ogni 12 o 15 anni, i membri semipermanenti verrebbero riconsiderati, valutati secondo i contributi dati alle forze di pace, al bilancio dell'Onu, all'impegno in generale e, se il caso, mutati. Il Giappone copre il 20% dei quattro miliardi di euro per il peacekeeping, pur non sedendo nel Consiglio. L'Italia, che gli sforzi del nostro ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci sembravano avere portato alle soglie di un seggio almeno semipermanente è per ora fuori, e gli europei, dopo tutti i discorsi sulla politica estera comune dell'Unione, potrebbero avere tre membri permanenti, Francia, Inghilterra e Germania, oltre ai non permanenti».
Alla denuncia del disinteresse della politica italiana nei confronti della riforma dell'Onu, che per ora ci esclude da ogni ruolo chiave (Gianni Riotta sul Corriere della Sera) risponde con questo articolo il presidente della Camera Pierferdinando Casini.
Ma non c'è solo la questione del ruolo dell'Italia. Se dal cilindro americano (repubblicano o democratico) spuntasse fuori l'idea di un Comitato delle democrazie?

«Le Nazioni Unite sono burocratiche, spesso in balia delle dittature, vedi l'elezione della Libia di Gheddafi e del Sudan del genocidio alla commissione diritti umani, hanno un pregiudizio anti-Israele cronico, non sono riuscite a fermare i massacri in Ruanda nel 1994, con ottocentomila morti, e sotto le loro bandiere impotenti s'è consumato il massacro dei 7000 musulmani innocenti a Srebrenica, Bosnia, nel 1995. Ma sono le uniche Nazioni Unite che abbiamo e senza di loro, malgrado le ipotesi illusorie dei neoconservatori alla Casa Bianca persuasi che "le Nazioni Unite siano un caffé di chiacchieroni" nessuno ha la legittimità per operare in ambienti ostili. Questo manto morale ha fatto sì che l'Onu non sia rimasta schiacciata sotto lo scandalo "oil for food", le mazzette pagate ai gerarchi di Saddam, e che abbia ultimato con successo operazioni di supervisioni sul voto in Eritrea e Timor Est.
La commissione di riforma sancirà il diritto all'intervento umanitario e sta ancora in bilico sulla difesa preventiva davanti alla minaccia di armi di sterminio di massa. Ammetterà che un Paese non può starsene con le mani in mano davanti allo spetto di un raid terroristico nucleare o chimico, ma lascia ancora al nuovo Consiglio il diritto di autorizzazione o veto. E se lo negasse? I Paesi si dividono sulla risposta. Sul tappeto anche una proposta, per ora poco discussa, da parte dell'ex segretario di stato Usa, Madeleine Albright: dare vita al Comitato dei Paesi democratici, un consiglio che raccolga tutti i paesi liberi».

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