Un ruolo di confine, da "irriconoscibili", per la Rosa nel Pugno
«Un pessimo spettacolo», l'ha definito, giorni fa, Sergio Romano sul Corriere della Sera e non sapremmo trovare parole più adeguate. Trascorse poche settimane dal voto - che ha consegnato all'Unione la Camera, grazie al premio di maggioranza scattato per soli 20 mila schede di differenza dalla CdL, e il Senato, ma con una maggioranza risicata - lo spettacolo offerto è stato penosissimo. Fiumi e fiumi di chiacchiere su chi dovesse scaldare questa o quella poltrona, liti da portinaie con picche e ripicche da primedonne coi baffi.
Dall'editoriale di Romano risuonano echi pannelliani contro i partiti, «dominati da oligarchie e da logiche di potere che non hanno alcun rapporto con le esigenze del Paese». Due cose ci aspettavamo da Prodi: che annunciasse al paese un governo «composto di persone serie e autorevoli» e i primi, urgenti, provvedimenti. Invece, no. «Invece di dare prova di serietà e unità, questa sparuta maggioranza si accapiglia sulla distribuzione delle poltrone e dà così l'impressione che sia questa, per l'appunto, l'occupazione preferita dei partiti».
Le polemiche si sono per di più concentrate sull'assegnazione delle cariche istituzionali, la seconda e la terza dello Stato, che ormai, denuncia Romano, sono divenute «centri di un potere parallelo... utili sale d'aspetto... una piattaforma che permette al titolare di valorizzare se stesso... coltivare le proprie ambizioni anche a scapito della maggioranza di cui sono espressione...».
Berlusconi vede comunisti dappertutto, e gli conviene vederli e farli vedere. D'altra parte i comunisti ci sono ed è bene non nasconderselo. A Prodi converrebbe non farli vedere troppo, non vantarsene, e invece (siamo nel 2006, a 17 anni dalla caduta del Muro) consegna al loro leader la terza carica dello Stato.
E quello che fa? Non contento, si mette a rilasciare interviste in cui espone un vero e proprio programma di governo, a 360°, come se fosse lui il capo della coalizione. E d'altronde è esattamente ciò che, indisturbato, ha fatto per tutta la campagna elettorale, contribuendo non poco alla spettacolare rimonta di Berlusconi. Al di là delle minacce a Mediaset, da notare la concezione totalitaria della televisione pubblica: «Penso che il carattere pubblico della Rai, di una Rai che lavora in direzione della cittadinanza, in direzione del popolo, sia uno strumento fondamentale anche di una nuova politica economica, non solo di una politica sociale».
Le premesse per una prima, immediata, rivincita elettorale di Berlusconi, già alle amministrative del 28 maggio, ci sono tutte.
Mentre accadeva tutto questo dov'era Romano Prodi? Ce lo siamo chiesti in molti, e tra gli altri anche Paolo Franchi. Prodi «tace praticamente su tutto, quasi fosse in apnea, mentre praticamente su tutto, e non solo sull'inedita, curiosissima contesa di Palazzo Madama, intervengono, a proposito e a sproposito, i partner, grandi e piccini». E' incredibile come «i giorni passino, la situazione si aggrovigli al limite del paradosso, e Prodi continui a non far sentire la sua voce».
Di indicare almeno quelle tre o quattro personalità cui affidare i ministeri chiave, e di delineare i primi obiettivi del nuovo esecutivo, come segnale di credibilità e autorevolezza, neanche se ne parla. Ma come «unire» il paese, se a ogni minima iniziativa del Professore - persino fare un nome o introdurre un tema - la coalizione rischia di deflagrare? Meglio tacere, meglio l'«apnea», se si è ostaggi delle divisioni interne.
Eppure, se Prodi non va alla montagna, è la montagna che va da Prodi. Così, magicamente, quei nodi che potrebbero mettere in crisi l'Unione prima ancora dell'insediamento si materializzano tutti insieme alla porta del suo studio. La legge Biagi, che la Cgil e la sinistra estrema vogliono vedere cancellare; la Tav, con la spinta ad agire da parte della Commissione europea e il ritorno alla carica dei localismi e dei movimenti; le truppe in Iraq, con l'attentato di ieri mattina con il quale i terroristi hanno voluto tastare il polso alla nuova maggioranza.
Un ruolo per la Rosa nel Pugno
Se questo è lo spettacolo, se questi sono i protagonisti, come può la Rosa nel Pugno conquistarsi la palma di migliore attore non protagonista? Che fare, insomma?
Innanzitutto, e la mozione uscita dalla Direzione va proprio in questo senso, non mollare sull'incredibile, forse preordinata, esclusione dal Senato. Le commissioni elettorali delle Corti d'Appello non si sono nemmeno disturbate a rileggere la legge elettorale, prendendo per buona la velina del Ministero degli Interni. Senza dubbio è la ferita più grave allo stato di diritto negli ultimi anni, perché non tocca qualche migliaia di firme, ma il più delicato momento di una democrazia: la trasformazione dei voti in seggi.
Una questione di legalità di cui investire direttamente i vertici dell'Unione. Anzi, farne un punto qualificante per i rapporti futuri. D'altronde, se il centrosinistra - dopo aver affossato l'amnistia votando come An e Lega, dopo essersi reso complice della discriminazione prevista da questa legge elettorale ai danni della Rosa - volesse perseverare nel voler escludere dal Senato radicali e socialisti, obiettivo manifesto dei Ds, promotori di decisive liste civetta; se questo fosse il totale disprezzo della legalità con il quale si ripresenta a governare il paese, allora non si potrebbe certo pretendere di cavare il sangue dalle rape. La legalità, insomma, prima di tutto. E si potrebbe cominciare a non votare Bertinotti alla presidenza della Camera, per esempio, continuando con una mobilitazione nonviolenta.
Si parla di un incarico di governo per Emma Bonino. A Pannella e Boselli, incontrati in settimana, Prodi ha chiesto di avanzare una proposta: la Difesa, ha deciso ieri in serata la Segreteria. Meglio gli Esteri, ma l'impressione è che Prodi non sia disposto ad andare più in là delle Politiche comunitarie, ministero senza portafogli. Nel caso in cui non ottenesse un ministero con portafogli dalla relativa autonomia, come per l'appunto la Difesa o gli Esteri, la Bonino, e la Rosa nel Pugno, dovrebbe tenersi ben alla larga da questa compagine governativa.
Trovarsi a gestire le briciole in un corpaccione ministeriale che fra qualche mese potrebbe venire congedato con disonore sarebbe imbarazzante. Pensiamo solo che alla Difesa, invece della Bonino, potrebbe finire Mastella. I nostri segreti militari nelle mani di Mastella, uno capace di dar via l'anima per una poltrona in più. D'Alema potrebbe finire per accettare gli Esteri, con il rischio di una politica di apertura nei confronti di Hamas. Si parla persino di un Ministero ad hoc (per i «Beni comuni») da affidare ai movimenti. Alla Giustizia, scartato Pisapia, l'unico presentabile di Rifondazione, è quasi sicura una rappresentante del Partito dei giudici: la Finocchiaro. Per non parlare delle mine vaganti clerico-solidariste Turco e Bindi.
Con uno scenario del genere meglio davvero neanche un sottosegretario e limitarsi ad appoggiare le misure di risanamento e le riforme di sviluppo che riuscirà a presentare Tommaso Padoa Schioppa, se sarà lui (almeno questo!) il ministro dell'Economia. I radicali d'altra parte offrirono un sostegno simile anche ad Amato nel '92. Se neanche TPS dovesse far parte della squadra di Prodi, se nessun incarico di responsabilità dovesse essere affidato alla Bonino, se neanche il rispetto della legalità smuovesse i vertici dell'Unione, allora non vedo come ci si possa ancora sentire "parte" della "maggioranza".
Non è il momento, insomma, di abbandonarsi alle ambizioni personali. Non si potrebbe lavorare all'alternativa prestando la propria opera e la propria immagine a un'alternanza che si candidasse alla mera gestione del declino. Un risultato elettorale migliore avrebbe potuto fare da volano alla Rosa, ma visti i numeri il nuovo soggetto nasce anemico e ha di fronte a sé una strada in salita. L'obiettivo principale dev'essere quello di acquisire forza, per potersi proporre come punto di aggregazione, di attrazione di un universo liberale, laico, socialista, radicale.
Obiettivo da perseguire connotandosi per le proprie iniziative politiche di stampo liberale, laico, riformatore e aprendo le contraddizioni in entrambe le coalizioni. Ne ha dato un esempio ieri Capezzone, intervendo su il Riformista con un lucido articolo nel quale invitava Prodi a prendere «il coraggio a due mani, e provare a dare un tono diverso, ambizioso, riformatore, ai primi atti di politica economica del Governo».
Completare, non cancellare, la Legge Biagi. Al meccanismo della cassa integrazione (concepito per sostenere settori non più trainanti) sostituire il "welfare to work" blairiano, «non solo più adeguato ai tempi, ma anche più "equo", perché tutela davvero chi oggi si trova "scoperto"... anziché sostenere imprese o settori decotti». Un sussidio (con somme che non incentivino a "galleggiare" tra tutela pubblica e lavoro nero) e, insieme, un'offerta di formazione per il tempo necessario al reinserimento, «sapendo bene che Blair ha potuto contenere le spese proprio perché ha saputo via via ridurre il numero di quanti usufruiscono di questi strumenti, e, soprattutto, il tempo per cui ne usufruiscono». Poi, le «riforme senza spesa» dell'agenda Giavazzi, l'abolizione degli ordini professionali e del valore legale del titolo di studio.
Insomma, l'invito a Prodi è di «tentare di dare un colpo d'acceleratore, assicurando alla propria azione un profilo liberale, riformatore, di mercato. Quello che l'Unione non può permettersi è considerare l'assetto corporativo italiano, l'"esistente italiano", come un dato ineluttabile, o - addirittura - alla stregua di un elemento di "governabilità" del sistema. In quel caso, resterebbe da "governare" soltanto il declino».
7 comments:
Sul fatto che le commissioni elettorali delle Corti d'Appello non abbiano letto la legge ho qualche dubbio........ne ho via via qualcuno in meno sul fatto che c'è chi fa finta che il relatore della legge non sia intervenuto con una interpretazione autentica (preventiva in questo caso) della disposizione normativa che non sarà il massimo ma che avrà pure qualche valore rispetto all'interpretazione postuma della legge che si è manifestata solo ad urne chiuse.
Il senatore Pastore ha infatti depositato agli atti questa integrazione scritta a quel che ha detto
"(….) Sono stati sollevati dubbi circa l'operatività della soglia di sbarramento del tre per cento in caso di attribuzione del premio regionale, a ragione di una non perspicua formulazione del comma 6 del novellato articolo 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993, che individua le liste ammesse al riparto rinviando all'articolo 16, comma 1, lettera b) n. 1 dello stesso decreto legislativo novellato. Malgrado tale disposizione presenti una formulazione obiettivamente infelice, essa non può che interpretarsi in via sistematica nel senso che sono ammesse al riparto le sole liste della coalizione che abbiano superato la soglia del 3 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione. A tale conclusione giunge l'interprete che sappia padroneggiare il sistema e valorizzare la reale intentio legislatoris: sarebbe davvero incongruo e contraddittorio, infatti, optare per una interpretazione diversa, che stravolgerebbe il sistema della riforma elettorale (che in ogni altro caso esclude pacificamente dal riparto le liste "sotto soglia" sia per la Camera che per il Senato) e si porrebbe in contrasto con le evidenti finalità di contrasto della frammentazione politica, perseguite dal legislatore. Si aggiunga a ciò che la stessa espressione in esame, ove letteralmente interpretata, non avrebbe alcun senso né alcun effetto giuridico in quanto il richiamato articolo 16, comma 1, lettera b) n. 1 non fa cenno a "liste ammesse al riparto" (come recita l'articolo 17 del decreto legislativo) bensì alle coalizioni "sopra soglia" ammesse al riparto. (….)"
A tutto ciò aggiungo un pò pateticamente due considerazioni che da non costituzionalista ho fatto pensando all'interpretazione legislativa sostenuta dalla RNP ed ai suoi possibili effetti.
1. La distinzione tra regioni in cui una delle coalizioni ha raggiunto il 55% e le altre - a cui ci si appella - è stata fatta dal legislatore esclusivamente al fine di stabilire che alla coalizione di liste vincente vanno attribuiti un numero di seggi (aggiuntivi rispetto a quelli presi in base alla percentuale ottenuta) fino a giungere la soglia del 55% dei seggi assegnati nella regione, e non per stabilire doppi regimi per l'accesso al riparto dei seggi.
2. Con l'interpretazione proposta dalla RNP, in Calabria o in Umbria o in altre circoscrizioni regionali piccole non sarebbe sufficiente il superamento del 3% (per via delle soglie implicite legate alla loro dimensione) nel caso in cui la coalizione vincente supera il 55% mentre in altre, più grandi e con un esito elettorale meno netto, basterebbe meno del 3%.
La riprova del fatto che l'applicazione della interpretazione della RNP darebbe effetti piuttosto singolari (che poco avrebbero a che fare con la certezza del diritto credo) è dimostrata dal fatto non sarebbero scattati i senatori laddove la RNP ha superato il 3% (Umbria, Molise e Calabria) ma dove ha avuto un risultato più basso in termini percentuali.
Chi mi dice cosa hanno di diverso gli elettori calabresi da quelli piemontesi perchè agli uni non sia sufficiente avere il 3,9% per vedere un loro rappresentante al Senato ed agli altri sia sufficiente il 2,6%?
Alla diversa dimensione delle due regioni che rappresenta un fattore discriminante - bilanciato però dal diverso numero dei senatori eleggibili che garantisce il principio di uguaglianza del voto assegnando comunque pari opportunità a tutti i cittadini di essere rappresentati - si andrebbe ad aggiungere un secondo fattore discriminante, che è determinato a posteriori dalla consistenza dei voti presi dalla coalizione vincente e che non è bilanciabile in nessun modo, che produce l'effetto di assegnare un regime privilegiato a chi vota in regioni più grandi e contraddistinte da un risultato elettorale meno netto (sotto la soglia del 55%) rispetto agli altri elettori.
Perchè da elettore al Senato nel Lazio ho una chanche di eleggere il mio rappresentante Intini, indipendentemente dal fatto che la sua lista raggiunga il 3%, che gli elettori toscani, emiliani, lombardi, siciliani o veneti non hanno per il semplice fatto che in quelle regioni l'affermazione della coalizione vincente è più netta?
Marco E.
Caro Marco, proprio l'integrazione di Pastore che riporti è in piena regola un'ammissione che il "buco" c'è tutto. Credo addirittura che faccia parte del dossier preparato dalla Rosa.
Un singolo parere, inoltre, anche se del relatore, non credo costituisca un'interpretazione autentica del legislatore, che credo debba essere votata in aula.
Comunque ripeto: Pastore riconosce che la lettera della legge dice una cosa ma sostiene che bisognerebbe interpretarla in altro modo, con il ben poco convincente argomento che "non può che interpretarsi in via sistematica".
E proprio interpretandola in modo "sistematico", trattandosi di un sistema proporzionale, ogni sbarramento rappresenta un'eccezione al sistema che come tale dev'essere espressamente prevista.
Non è un problema di interpretazione, quindi, ma di una cosa che dovrebbe essere scritta nella legge ma che purtroppo, per errore, non è stata inserita. Mi pare che in un altro punto o in un altro documento Pastore stesso si rammarichi che non sia possibile un altro passaggio in aula.
La legge elettorale fa schifo in molti punti, forse anche in questo, ma non vedo perché dovrebbe essere disapplicata proprio su questo.
1) Personalmente sono molto sollevato da Bertinotti alla Camera. Il "tribuno al cachemire" (per dirla con Montanelli) non brilla nè per idee nè per intelligenza, ma ha una certa classe e mi aspetto da lui un comportamento educato ed imparziale come moderatore. Ma soprattutto non farà troppi danni (ve l'immaginate ad un ministero economico?).
Ciò non toglie, ovviamente, che la RnP abbia motivi a sufficienza per non votarlo. Visto il trattamento ricevuto di recente, avrebbe motivi a sufficienza anche per uscire dalla maggioranza, a dirla tutta.
2) Ho sentito parlare di Violante alla Giustizia. In tal caso, sarei molto soddisfatto di vedere Berlusconi dietro le sbarre, ma per quanto riguarda tutto il resto... stendiamo un velo pietoso.
3) Da elettore RnP, mi dispiace per il terzo e in quarto in lista, ma se Intini e Pannella stanno fuori dal Parlamento può solo fare bene al partito.
Non mi pare ci sia un esplicito riferimento a quanto ha detto il senatore Pastore nell'esposto presentato alle Corti d'Appello come pure nelle memorie dei professori che costituiscono il dossier.
Sul valore dell'interpretazione di Pastore mi chiedo per quale motivo l'interpretazione "autentica", data nel corso dei lavori parlamentari dal relatore, dovrebbe valere meno dell'interpretazione di un magistrato della Corte d'appello che non poteva applicare letteralmente la disposizione per il semplice fatto che il legislatore, quando parla di liste ammesse al riparto dei seggi, rimanda ad un comma in cui si parla di coalizioni e non di liste e dunque non dice letteralmente un bel nulla di automaticamente applicabile.
E poi perchè si devono discriminare gli elettori calabresi, toscani o emiliani? Si interpreti pure la legge in un modo diverso da quello proposto da Pastore, ed inteso da tutti i partecipanti alla contesa elettorale fino a due o tre giorni dopo la chiusura dei seggi, ma si rispetti il principio - proprio di tutti i sistemi elettorali - che il voto è uno libero ed uguale (se non mi sbaglio).
Quanto alla retorica "si applichi letteralmente la legge" credo sia opportuno richiamare alla memoria quanto si è detto (con il professor, o forse onorevole, Ainis in testa) a proposito dei seggi vacanti del 2001.
La legge era stata portata ad un inevitabile punto di rottura (causa mancanza di candidati eleggibili nelle liste a cui spettavano i seggi) che il regolamento attuativo contemplava (in termini di ipotesi) e sul quale si pronunciava dicendo che i seggi andavano assegnati alle liste ammesse al riparto che avevano ancora candidati eleggibili.
Che disse Ainis allora: "si applichi la lettera della legge e del regolamento attuativo connesso"? No, si disapplichi il regolamento e si ricorra ai principi generali che regolano la materia elettorale, e quindi si faccia saltare lo sbarramento del 4% e si proceda all’assegnazione dei seggi proporzionali applicando il metodo d’Hondt.
Certe ferite sono sicuramente gravi e fanno riflettere........ma c'è da guardarsi bene anche da certe cure e da certi medici curanti.
Marco E.
Post condivisibile. Se non vi danno Esteri o Difesa, io credo che invocherete gli dei e chinerete il capo come avete fatto sinora. Dove andate, altrimenti?
Ad ogni modo, sul tema ho scritto anche io. ;)
Pienamente d'accordo con te. Se, come sembra, "l'operazione Francesco" ha consegnato la difesa a Mastella, allora la Rosa nel Pugno si tenga alla larga da questi assatanati che sembrano agire in crisi d'astinenza da potere...
Capezzone dice cose pienamente condivisibili ma mentre lui parla questi stanno per dare l'istruzione a Rosy Bindi ed un ministero "dei movimenti" (ma cos'è??) a Rifondazione ...
Ho i brividi.
Ciao Paolo.
Un emendamento del senatore Mancino, a coprire proprio il buco, è stato respinto dall'aula. La bocciatura di quell'emendamento vale di per sé più di qualsiasi interpretazione postuma sulla volontà del legislatore.
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