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Sunday, April 02, 2006

Una cospirazione israeliana ha dirottato la politica estera americana?

Alcuni l'hanno già definito i «Protocolli di Harvard e Chicago», riferendosi al famigerato falso storico russo dei Protocolli dei savi di Sion. Si tratta del saggio "La Lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti" (London Review of Books), di John Mearsheimer (Università di Chicago) e Stephen Walt (Harvard). La sua tesi centrale è che la politica estera degli Stati Uniti negli ultimi quarant'anni sia stata influenzata da una potente lobby israeliana e che questa influenza sia stata motivo di molti fallimenti. «Un'alleanza di uomini e organizzazioni che lavorano dal 1967, dai tempi della Guerra dei Sei Giorni, per dirottare la politica estera di Washington», denunciano gli autori, che puntano il dito contro l'Aipac (American Israel Public Affairs Committee), gli intellettuali neocon e i cristiani evangelici, ma anche istituti di area democratica.

Giorni fa ne hanno parlato ai microfoni di Radio Radicale (ascolta) Maurizio Molinari (La Stampa) ed Emanuele Ottolenghi (professore di Studi israeliani all'Università di Oxford e collaboratore de il Riformista).

Sorprende, ha premesso Molinari, che una tesi in genere cara a esponenti dell'estrema destra e dell'estrema sinistra sia invece sostenuta da professori di prestigiose università. Gli addebiti che si fanno alla "cospirazione" ebraica sono sostanzialmente quattro: 1) dall'indomani della Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, Israele risulta essere il destinario della maggior quota di aiuti americani all'estero (140 miliardi di dollari in valuta del 2004); 2) nell'utilizzo di questi fondi Israele gode di uno status privilegiato, poiché, al contrario che ad altri paesi, gli è consentito non reinvestire il 25% degli aiuti negli Stati Uniti (e parte di essi sarebbe servita a finanziare nuovi insediamenti); 3) dal 1982 gli Stati Uniti hanno posto per 32 volte il veto alle Nazioni Unite per Israele; 4) le ultime guerre e gli interventi americani in Medio Oriente sono stati sollecitati da Gerusalemme.

S'incontrano, a favore di queste tesi, la destra repubblicana che ha imputato la guerra in Iraq ai neocon e la tradizionale ostilità dell'estrema sinistra alla stretta partnership Washington-Gerusalemme. I maggiori quotidiani americani, Washington Post, New York Times e Wall Street Journal, riferisce Molinari, hanno sollevato un'obiezione di fondo alla tesi sostenuta nel saggio: l'aver scambiato per una presunta cospirazione israeliana ai danni dell'America quello che in realtà è un forte consenso sociale e politico per l'alleanza con Israele, frutto della condivisione di valori comuni. Ciò che unisce gli Stati Uniti a Israele, ma anche a paesi come la Gran Bretagna, la Polonia, la Corea del Sud o Taiwan, come a tutte le democrazie, è la comune chiave di lettura degli eventi. Una comunità di democrazie de facto esiste e Bush, prima di lasciare la presidenza, nel 2008, è intenzionato a trasformarla nel gruppo maggioritario alle Nazioni Unite.

Molinari ha poi osservato che se «in America il saggio è stato discusso e affrontato nei dettagli dagli analisti», la stampa europea si è rivelata restìa a fare la stessa cosa, come se avesse timore a trattare il tema della cospirazione, per il retropensiero che in fondo ci sia qualcosa di vero su cui meglio non porre l'accento. Quindi, meglio non parlarne.

Il giudizio di Ottolenghi è ancora più critico. «Poco sorpreso dal contenuto, né originale nelle conclusioni, né nuovo per quanto riguarda prove, insinuazioni e allusioni», si dice invece «molto sorpreso dall'autorevolezza degli autori», dal «contesto accademico di altissimo livello». Il professore della Oxford University ha definito i contenuti «preoccupanti per le insinuazioni, le distorsioni, le mezze verità, le gravi omissioni». Insomma, un lavoro che rivela una «scarsissima qualità a livello accademico». Ottolenghi nutre sospetti anche sulla scelta di fare uscire il saggio in un contesto europeo, maggiormente disposto ad accogliere tesi anti-israeliane, e sul "timing" di pubblicazione, quasi a voler «attaccare la credibilità» della politica estera americana proprio all'affacciarsi di una nuova grave crisi, quella iraniana.

Gli autori, secondo Ottolenghi, ricorrono alla tesi della cospirazione, e addirittura all'immagine della piovra, tipica dell'antisemitismo antecedente la II Guerra Mondiale, perché incapaci di affrontare «la forza degli argomenti» a favore delle politiche che criticano. L'editorialista de il Riformista, infine, osserva che esponenti della scuola realista, quali sono i due autori, dovrebbero ben sapere che concessioni da parte di Israele nel processo di pace con i palestinesi sono possibili solo se lo stato ebraico si sente sicuro. E che fondamentale per questa percezione di sicurezza è proprio la partnership speciale di Israele con gli Stati Uniti.

2 comments:

Anonymous said...

In Irak le cose non vanno bene... ed allora è meglio trovare un bel capro espiatorio. Magari il solito.

Anonymous said...

Non l'ho letto, ma a tuo riassunto noto una piccola (anzi enorme) contraddizione in termini: lobbying e cospirazione. Se è "cospirazione" è una cosa che avviene illegalmente e quindi è un reato. Se è "lobbying" è una cosa perfettamente legittima. Certo noi automaticamente lo leggiamo negativamente, ma nella sua accezione neutra tutti noi facciamo "lobbying" tutti i giorni.
Negli Stati Uniti poi il lobbying è fortissimo, ma praticamente palese ed oltretutto regolamentato, non come qua da noi dove si fanno i manini.
Quindi la tesi è una notizia (la cospirazione) o una non notizia (il lobbying)?