Il gip di Roma, Renato Laviola, ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura per il dottor Mario Riccio, l'anestesista che ha staccato il respiratore artificiale a Piergiorgio Welby, e ordinato la sua iscrizione nel registro degli indagati, nonostante a seguito delle consulenze medico-legali gli stessi procuratori avessero accertato che la morte di Welby non fu causata dalla sedazione, ma dall'insufficienza respiratoria provocata dalla legittima interruzione del trattamento.
Accade raramente che un gip non accolga la proposta di un pm. Ancora più raramente se la richiesta è di archiviazione, mentre ricorre più frequentemente il caso inverso, cioè di archiviazione, perché l'ipotesi di reato sostenuta dal pm non è suffragata da sufficienti elementi probatori.
La decisione del Tribunale potrebbe costituire un precedente importante per future pronunce in casi analoghi. L'ordinanza del gip, intanto, potrebbe influenzare negativamente la discussione in Parlamento sul testamento biologico.
Dobbiamo ritenere che sia il primo caso di obiezione di coscienza a cui di recente la Pontificia Accademia per la Vita ha richiamato non solo operatori della sanità, ma anche magistrati? E' presto per dirlo, ma la tempistica autorizza qualche sospetto.
E anche perché nel merito lo stesso Tribunale, lo scorso autunno, ha dato Welby una risposta "kafkiana", ammettendo che aveva ragione nella sua richiesta, il diritto a sospendere la sua terapia era costituzionalmente garantito, ma che non si poteva procedere perché non tutelato concretamente dall'ordinamento. Un espediente, neanche troppo sottile, per non assumersi la responsabilità della decisione, criticato dall'ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky: «Se un diritto c'è (tanto più se previsto nella Costituzione) non può mancare un giudice davanti al quale farlo valere».
La mia intervista a Mina Welby.
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