Formamentis ha rotto il «fioretto» e riprende a commentare ciò che si scrive su questo blog. Il che non può che rallegrarmi. Tuttavia, per «dialogare» occorre una dose minima di rispetto, nella quale non credo rientri la caricatura del pensiero altrui riducendolo a fantoccio polemico.
Se poi si cita una frase di Nietzsche («i deboli e i malriusciti devono soccombere») e la si accosta a un passaggio in cui sostengo esattamente l'opposto, come bisognerebbe definirla? Mistificazione? L'accusa di darwinismo sociale ai liberisti è un tantino logora.
Quindi, sarò anche quello «chiuso nel dogmatismo ideologico», ma da altre parti più che la forma regna la «confusa-mentis».
Si estrapola un passaggio, lo si decontestualizza, lo si assolutizza... e poi il resto è fin troppo facile.
Lamiadestra scrive un post interessante la cui tesi è che le idee liberali e liberiste non sfondano perché i liberali dovrebbero sforzarsi di dare ai cittadini risposte convincenti sui "costi umani" della globalizzazione e del libero mercato, che non sono affatto "indolori". Bene. Gli faccio notare però che a differenza di qualche anno fa, a guardare bene, qualcuno c'è impegnato proprio nella direzione da lui indicata.
I Giavazzi, gli Alesina, i Nicola Rossi, i Mingardi, i Giannino, i Capezzone, i radicali, per fare degli esempi, si sforzano di mettere in luce come, in concreto, riforme liberiste possono far entrare, o far rientrare, nel mondo produttivo proprio gli outsider, coloro che oggi nella nostra società rimangono ai margini a causa di una struttura socio-economica corporativa, anti-meritocratica, protezionista, statalista, che favorisce i soliti privilegiati. E su questo blog si cerca di fare altrettanto. Basta andare a riprendersi articoli e post sui temi economici e ci si accorgerà come siano tutti o quasi imperniati sul tentativo di dimostrare come più libertà voglia dire anche più equità sociale e pari opportunità, ammesso che per equità non s'intenda assistenzialismo.
«Tutelare i più deboli» non significa nulla di per sé. Innanzitutto, perché la debolezza della maggior parte di quelli che vengono definiti "deboli" è momentanea e parziale, ma può diventare permanente proprio se lo Stato offre amache e non trampolini. Non sono "deboli" loro, non hanno bisogno di essere assistiti, ma si trovano in un momento di difficoltà congiunturale.
Mi pare che, storicamente e concretamente, i modelli di welfare socialdemocratici siano falliti, stritolati tra l'inefficienza e l'insostenibilità finanziaria dei vari sistemi realizzati. L'idea di un sistema universale di ammortizzatori, per esempio, basato sulla formula "welfare to work", da finanziare innalzando l'età di pensionamento a livelli europei. In Italia solo il 17% dei lavoratori percepiscono una qualche forma di sussidio di disoccupazione nel momento in cui si trovano senza lavoro, per lo più la vecchia Cassa integrazione, tempo sprecato per il lavoratore e denaro pubblico buttato per lo Stato. E che cos'era, il "manifesto degli outsider", se non un tentativo di spiegare come a più libertà corrispondano più opportunità e più equità?
Basta prendersi le statistiche Ocse. I grandi: Gran Bretagna, Usa, Canada, Australia; i medi: Irlanda e Spagna; i piccoli: Olanda, Rep. Ceca, i Paesi baltici e, ora, anche la Svezia e la Danimarca. Al palo sono rimasti Italia, Francia e Germania. Mi pare che, storicamente e concretamente, nei paesi "cattivi" in cui vige l'innominabile, la libertà di licenziamento, o in cui è stata introdotta una certa flessibilità in uscita, il tasso di disoccupazione sia quasi al livello che gli economisti ritengono fisiologico (3-4%), che ci sia maggiore flessibilità in entrata e mobilità sociale. Al contrario, la rigidità del mercato del lavoro, e dei mercati, favorisce i privilegiati, condanna gli esclusi e i più meritevoli al lavoro precario e scarsamente retribuito.
Tornando a «confusa-mentis», come può attribuirmi l'idea di una politica priva di emozioni e di passioni? Ce ne vogliono eccome di motivazioni - per curare un blog, per esempio, o per impegnarsi direttamente in un partito - ma come ha compreso bene Yoshi si stava parlando delle dinamiche interne ai radicali, del fatto che non si può fare dei sentimenti, come della fede, una teoria e una prassi politica, non è su un vissuto che si pretende essere comune che si possono consolidare fedeltà politiche, perché ciò va a scapito del dibattito e dello spirito critico interno. Questo solo si intendeva dire, ma non è poca cosa.
5 comments:
Sì, ma se le proposte dei vari Rossi-Alesina-Giavazzi-Capezzone si riducono a voler portare in Italia il modello danese, pur apprezzando l'impegno nella giusta direzione, ritengo vi siano solo due possibili intepretazioni, a mio avviso: o si vuol far vincere le elezioni alla lega in tutto il nord italia per i prossimi 20 anni, o non si è capito nulla di come è l'Italia.
Il sistema danese di assicurazioni private sussidiate dal pubblico funziona in danimarca, paese piccolo e socialmente ed economicamente piuttosto omogeneo. In Italia, dove di fatto esistono due stati nello stato, due economie nell'economia nazionale, è un'utopia: tu fai le assicurazioni/sussidi di disoccupazione finanziati dal pubblico su base nazionale, e ti ritrovi Bossi in piena salute che spiega come le imprese lombarde (zona dove la disoccupazione è al 3%) mantengono i disoccupati sulle spiagge del sud, dove la disoccupazione è al 15%. (E se li fai su base regionale, non credo che più di 6-7 regioni potrebbero permetterseli.)
E non vedo assolutamente con quali strumenti potresti sconfiggere il messaggio leghista.
Non so, davvero, chi abbia fatto questa proposta. Me la devo essere persa. Ricordo che Giavazzi citò quello danese, come esempio, per quanto riguarda i licenziamenti. Ma era un modo per non citare alla sinistra l'odiata america, ma un paese del nord europa notoriamente attento al welfare.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/
Cronache/2007/04_Aprile/17/pop_popo
li.shtml
carta canta
Stiamo parlando della stessa cosa ;)
Giavazzi propone da ormai un paio di anni l'introduzione in Italia del modello danese, dove vige la libertà di licenziamento e assicurazioni/sussidi di disoccupazione (a seconda del nome che si vuol dare loro) erogati da privati ma sussidiati fortemente dallo stato.
A parte il fatto che non mi sembra assurdo, comunque per l'esattezza non è che "propone". L'ha portato a titolo di esempio di un sistema nordico comunemente ritenuto attento al welfare. Quello era il significato politico di un editoriale che risale ormai a un anno fa.
Una "proposta" a mio avviso è qualcosa di molto più specifico e studiato che un editoriale.
ciao
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