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Friday, February 06, 2009

Rottura con il passato. Berlusconi sceglie lo stato etico

Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l'individuo è sovrano.
John Stuart Mill


Un Vaticano scatenato come mai prima, una politica in parte inginocchiata, in parte intrisa di una irriducibile ideologia statalista. Un governo che si fa coerente interprete dello stato etico in cui viviamo da 80 anni e violenta il corpo martoriato di una cittadina inerme.

Con il decreto approvato oggi in Cdm, e il disegno di legge che probabilmente verrà presentato alle Camere lunedì, per la prima volta Berlusconi ha deciso di coinvolgere formalmente il suo governo in una battaglia sulle questioni etiche, segnando la fine di quella libertà di coscienza che aveva da sempre rivendicato essere la linea del suo partito su quei temi. Una rottura con il passato che proprio alla vigilia della nascita del PdL può rivelarsi un macigno. Un partito che mira al 40% dei voti e ad essere maggioritario nel Paese non può su questi temi nascere su posizioni estremiste estranee alla maggioranza degli italiani e persino dei suoi elettori.

Il presidente Napolitano ha commesso un solo errore in questa vicenda. Inviando la lettera con il suo no preventivo al decreto mentre era in corso la riunione del Consiglio dei ministri - iniziativa in effetti assai discutibile sotto il profilo istituzionale - ha di fatto ricompattato il governo, perché a quel punto, soprassadendo, l'esecutivo avrebbe avvalorato un potere di vaglio preventivo sulla decretazione d'urgenza da parte del presidente della Repubblica. Quanto meno, è stato questo l'argomento usato per convincere i ministri più riottosi.

Per il resto il presidente ha giustamente rilevato la mancanza dei requisiti di urgenza e necessità per l'emanazione del decreto. Se infatti si sostenesse che i requisiti si siano determinati in conseguenza del caso Englaro, allora si ammetterebbe che si tratta di un decreto ad personam, confermando la sua incostituzionalità; ma viceversa, nessun fatto nuovo sarebbe emerso sulle questioni di fine vita tale da rendere un decreto urgente e necessario. A meno che il governo non sia disposto ad ammettere di essersi accorto solo oggi che nelle strutture sanitarie pubbliche migliaia di pazienti vengono "uccisi".

Ma può il presidente della Repubblica eccepire sulla costituzionalità di un decreto e rifiutarsi di firmarlo? Oppure sui decreti, in quanto atti governativi («sotto la sua responsabilità», recita l'art. 77 riferendosi al governo), la firma presidenziale è da considerarsi un "atto dovuto", notarile? La questione è quanto meno controversa.

Quanto al mancato rispetto della sentenza della Cassazione, a mio avviso è un argomento irrilevante. Il governo e il Parlamento sarebbero infatti pienamente legittimati a legiferare per riempire un vuoto normativo, o correggere una legge, che avessero determinato una certa sentenza.

Ma ciò che nessuna formulazione del decreto avrebbe mai potuto superare, pena la sua inefficacia allo scopo che si erano prefissi i proponenti, è il contrasto della norma con gli artt. 3, 13 e 32 della Costituzione.

Nella seconda bozza del decreto, hanno sostenuto Berlusconi e Sacconi, sono stati accolti i rilievi tecnico-giuridici avanzati dal costituzionalista Onida. Il quale però ha negato, e ha spiegato che porre come limite temporale del divieto di sospendere alimentazione e idratazione artificiali l'approvazione di una legge sul testamento biologico da parte del Parlamento non è comunque sufficiente a rendere costituzionale l'intervento del governo. La prima bozza, infatti, era «costituzionalmente impropria» non solo perché di fatto anticipava la volontà del Parlamento sul testamento biologico, ma soprattutto perché «contrastante con l'art. 32 della Costituzione», nel punto in cui prevedeva che l'alimentazione e l'idratazione non potessero essere in nessun caso rifiutate dai soggetti interessati.

Questo contrasto con la Costituzione è inevitabilmente rimasto anche nella bozza di decreto approvata dal CdM:
«In attesa dell'approvazione di una completa ed organica disciplina legislativa in materia di fine vita, l'alimentazione e idratazione in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi».
Attenzione a laddove si dice «non in grado di provvedere a se stessi», perché con questa espressione ci si riferisce sia a soggetti incoscienti che coscienti e capaci di intendere e volere ma, per esempio, non in grado di muoversi e, appunto, di provvedere autonomamente a se stessi.

Dunque, non è affatto vero che per il governo e per i sostenitori del divieto di sospensione dei trattamenti il problema consista nell'incertezza sulla reale volontà di Eluana. Anche se potesse esprimersi oggi, questo decreto le negherebbe l'accoglimento delle sue richieste. Ed è ciò che rende il decreto incostituzionale. Non solo il decreto, ma qualsiasi legge che escludesse del tutto la possibilità per un cittadino di rifiutare alimentazione e idratazione, sia naturali che per mezzi artificiali, sarebbe incostituzionale.

Riguardo la pesante ingerenza del Vaticano, il portavoce Padre Lombardi ha smentito «nel modo più categorico» la conversazione telefonica tra il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e il presidente del Consiglio italiano, riportata questa mattina da un quotidiano. Ma Lombardi non può non essersi accorto che su un altro autorevole quotidiano, il Corriere della Sera, si faceva riferimento ai colloqui che solo ieri Berlusconi avrebbe avuto con monsignor Betori, già segretario generale della Cei, e con il cardinale Bagnasco, presidente della Cei. Evidentemente, dobbiamo supporre, questi colloqui non era in grado di smentirli.

1 comment:

Anonymous said...

"Quanto al mancato rispetto della sentenza della Cassazione, a mio avviso è un argomento irrilevante. Il governo e il Parlamento sarebbero infatti pienamente legittimati a legiferare per riempire un vuoto normativo, o correggere una legge, che avessero determinato una certa sentenza."

Sì, ma la nuova normativa non dovrebbe avere effetto retroattivo: dovrebbe applicarsi ai casi futuri, non a quello specifico su cui la Cassazione si è pronunciata.

Una qualsiasi sentenza definitiva che non dovesse piacere al governo potrebbe essere di fatto resa inapplicabile - al caso specifico - con una legge successiva? Non in un ordinamento democratico.
Diverso è il discorso per i casi successivi a quello cui si riferisce la sentenza della Cassazione. Che, va ricordato, ha valore normativo solo per le parti in causa.

M.A