Il segretario di Stato americano Hillary Clinton riprende i rapporti con la Cina laddove li aveva lasciati il marito Bill da presidente nel 1998. Se con la crisi è d'obbligo riallacciare la "partnership strategica" sulle questioni economiche, l'ambizioso obiettivo della nuova amministrazione sembra essere quello di estendere la cooperazione con Pechino anche alle questioni di sicurezza. Alla base di questa scelta la convinzione che la crescita, l'apertura e l'interdipendenza economica favoriscano anche la libertà politica e le riforme democratiche, e che inducano inevitabilmente la Cina a comportarsi da "attore responsabile" del sistema internazionale.
Una tesi messa in dubbio però da eventi anche molto recenti: la repressione in Tibet; il manifesto dei dissidenti Charta '08; gli scandali sanitari e alimentari; la scarsa collaborazione di Pechino in crisi come quella birmana o del Darfur. Soprattutto, non è ancora chiaro in che direzione l'esperimento del Partito comunista cinese – capitalismo senza democrazia – condurrà la Cina. Ancora più oscuro l'obiettivo della forsennata modernizzazione delle forze armate su cui Pechino investe sempre più risorse.
L'idea della "partnership strategica" sembra la stessa, ma i tempi sono cambiati. Se negli anni '90 il presidente Bill Clinton poteva muovere ottimisticamente i primi passi di questa partnership su un piano di indiscussa supremazia americana, nel contesto di oggi si tratta di fare di necessità virtù. Insomma, si va verso una partnership Usa-Cina "alla pari". Non è certo una buona notizia per la democrazia e i diritti umani.
L'amministrazione Bush è senz'altro criticabile per aver sostenuto solo a parole, e molto meno nei fatti, la democrazia e i diritti umani in paesi come la Cina e la Russia, ma è probabile che dalla nuova amministrazione non sentiremo più neanche le parole. Da un'indagine condotta dal Chicago Council on Global Affairs risulta che dopo gli otto anni di presidenza Bush, diversamente da quanto si possa credere, la reputazione dell'America in Asia è migliorata, il "soft power" Usa si è rafforzato, e l'atteggiamento dei cinesi stessi è più favorevole.
La Clinton ha evitato di parlare di diritti umani nei suoi colloqui con i leader cinesi. Pochi mesi fa, da senatrice, chiedeva al presidente Bush di boicottare la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici in segno di protesta per la repressione in Tibet e la scelta di Pechino di non esercitare la sua influenza sul governo sudanese per fermare il genocidio in Darfur. Alla vigilia del suo arrivo in Cina, l'annunciato cambio di approccio: i diritti umani non possono essere un ostacolo al dialogo tra i due paesi. «Le amministrazioni Usa e i governi cinesi che si sono succeduti hanno fatto passi avanti e indietro su questi temi, e dobbiamo continuare a fare pressioni. Ma le nostre pressioni non possono interferire con la crisi economica globale, i cambiamenti climatici, e le questioni di sicurezza», elevate quindi dalla Clinton a priorità nel dialogo con Pechino.
Tuttavia, oggi, a coloro che hanno a cuore i diritti umani e la democrazia come fattori di sicurezza, è richiesto un po' di sano pragmatismo. Non si può infatti negare l'amara realtà: la nazione più di ogni altra paladina dei diritti umani e della democrazia è in difficoltà. A causa di scelte politiche sbagliate o imprudenti del passato dipende dai suoi creditori. La Banca centrale cinese è il primo detentore di titoli pubblici americani. A settembre, la Cina ha scalzato il Giappone come primo creditore di Washington. Parliamo di somme stratosferiche.
Inevitabile che la questione del rifinanziamento del debito pubblico Usa fosse al centro della missione della Clinton, che ha portato a Pechino un messaggio chiaro: «Apprezziamo molto la costante fiducia del governo cinese verso i titoli del Tesoro americano. Sono certa che sia una fiducia ben riposta. America e Cina si riprenderanno dalla crisi economica e insieme guideremo la crescita mondiale».
Certo, si potrebbe obiettare che gli Stati Uniti dipendono dalla Cina per i loro debiti come la Cina dipende dai mercati americani per le sue esportazioni. Ma una guerra commerciale che aggravasse la depressione non aiuterebbe il progresso dei diritti umani e delle riforme politiche in Cina. I cinesi temono che l'esplosione del debito pubblico Usa possa provocare una caduta del dollaro, che decurterebbe il valore delle loro riserve, ma se non comprano i Buoni del Tesoro Usa emessi per pagare il piano anti-crisi e i salvataggi bancari, il mercato americano, sbocco principale delle esportazioni cinesi, non sarà più in grado di sostenere l'economia del gigante asiatico. Insomma, Stati Uniti e Cina si sorreggono a vicenda.
Non rimane che sperare che gli Stati Uniti affrontino con urgenza il problema del debito pubblico, riducendo la loro dipendenza dai creditori (e rivali) esteri e recuperando spazi di manovra nella loro politica estera e di sicurezza.
Riguardo i temi della sicurezza, ai quali l'amministrazione Obama vorrebbe estendere la cooperazione con Pechino, la Cina non è la Russia. Da produttore di gas e petrolio quest'ultima ha interesse a svolgere un ruolo destabilizzante per tenere alti i prezzi delle sue risorse, mentre Pechino ha tutto l'interesse a lavorare per la stabilità, per tenere bassi i prezzi delle risorse energetiche necessarie alla sua crescita tumultuosa.
Ma quale sarà il prezzo politico che la Cina chiederà agli Usa? Continuare a sostenere il debito americano è essenziale anche per l'economia cinese, ma la sua collaborazione su dossier come Afghanistan, Corea del Nord, e soprattutto Iran, potrebbe richiedere non solo il silenzio sui diritti umani, ma anche il sacrificio di Taiwan, un altro dei temi che pare la Clinton abbia tralasciato nei suoi colloqui pechinesi. Gli Stati Uniti vorrebbero che Pechino riducesse i propri investimenti in gas e petrolio iraniano per stringere la morsa su Teheran e costringere gli ayatollah ad abbandonare il programma nucleare. Da sempre i cinesi vorrebbero che gli americani cessassero di vendere armi a Taiwan.
Ma la crescente asimmetria di forze tra Taipei e Pechino, ovviamente a favore di quest'ultima, preoccupa gli analisti di difesa. Il direttore della National Intelligence, Dennis Blair, ha recentemente assicurato che Washington continuerà a fornire a Taiwan le necessarie armi difensive, in linea con il Taiwan Relations Act, per bilanciare il continuo rafforzamento del potenziale bellico cinese. Ma è indubbio che in assenza di un impegno forte da parte degli Stati Uniti a sostenere la democrazia e la sicurezza di Taiwan, le relazioni tra Pechino e Taipei sono destinate a peggiorare. Se venisse meno o si indebolisse il ruolo americano di garanzia e riequilibrio delle forze nello stretto, la Cina sarebbe in grado di soggiogare il popolo taiwanese e piegarlo alle sue volontà. Benzina sul fuoco del nazionalismo cinese e pericolosissima luce verde alle ambizioni imperialiste. Una linea rossa da non oltrepassare.
2 comments:
se si prendono tutte le parole dette in cina da hillary "fellatio in ore" clinton...non si trovano una volta una quelle che suonano così: diritti civili.
cominciamo bene!
che tristezza.
e che rabbia!
ciao.
io ero tzunami
"Se venisse meno o si indebolisse il ruolo americano di garanzia e riequilibrio delle forze nello stretto, la Cina sarebbe in grado di soggiogare il popolo taiwanese e piegarlo alle sue volontà. Benzina sul fuoco del nazionalismo cinese e pericolosissima luce verde alle ambizioni imperialiste. Una linea rossa da non oltrepassare."
la situazione economica cinese attuale, nonostante il febbrile attivismo degli organi di (dis)informazione cinesi e' gia' grave e non ci sono segni di miglioramento in vista, l'unica risposta sinora e' stata quella di aumentare i sussidi, con il dichiarato obiettivo di mantenere la "armoniosa stabilita'" del paese, da sempre feticcio dei cupolari di Zhongnanhai. Dovessero non bastare i sussidi rimarra' solamente il nazionalismo piu' sfrenato, che da qualche anno peraltro e' in continua ascesa, incoraggiato e protetto. Un altro anno di crescita economica zero, ex-contadini impossibilitati a tornare a lavorare nelle zone manifatturiere delle coste e costretti a vivere con la misera sussistenza del lavoro nei campi, neolaureati con anni di studi alle spalle e senza alcuna possibilita' di impiego nei loro settori di studio, e Taiwan puo' gia' cominciare a prepararsi alla inevitabile "riunificazione".
Luigi
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