Concessioni al realismo e vera svolta di Bush
I neocons sono serviti per muovere guerra a Saddam, poi i realisti hanno ripreso il comando e l'America uscirà presto - ahimé - dall'Iraq? Un futuro sciita moderato (non khomeinista) e rispettoso della sharia, ma anche di principi democratici minimi e delle altre componenti (incarnato dalla saggia e influente guida dell'ayatollah iracheno Alì Al-Sistani), si sta profilando per l'Iraq libero e unito. E' il piano Brahimi, la vera «svolta» (che si finge di non vedere), sostenuto da Bush e Blair: del consenso sciita (di Al-Sistani) non si può fare a meno, dopo il 30 giugno un nuovo governo sarà legittimato dall'Onu e gli occupanti si faranno da parte dalla gestione politica, poi a gennaio del 2005 gli sciiti vinceranno probabilmente le elezioni, la Costituzione "apparirà" democratica e rispettosa della sharia, il tutto sotto la sorveglianza delle truppe e dell'ambasciatore americano. Tutto ciò sarà compatibile con l'innesco di una rivoluzione democratica in Medio Oriente? O sarà stata l'inevitabile concessione dell'utopia neocons al realismo? «A che punto è l'America?», si chiede Giuliano Ferrara: «Mentre tutti si interrogano, con maggiore o minore ipocrisia, sul modo di estromettere gli americani e gli altri liberatori di Baghdad dalla gestione della transizione, la nostra impressione è che gli americani hanno già un piede fuori del paese liberato, e chissà se la cosa sia un bene». Il guaio insomma, è che potrebbe esserci poca America in Iraq, non troppa. Ed è l'Europa in gioco in questa crisi (e forse Bush), ma non l'America, avverte Galli Della Loggia.
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