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Monday, April 19, 2004

Per Emma Bonino ci vuole un: «No pasaran!»
Alcuni stralci dell'intervista di sabato scorso sul Messaggero, poco evidenziata.
  • «Penso, al contrario di quanto continuano a sostenere tante altre persone, che il terrorismo sia una minaccia come lo sono stati il nazismo o lo stalinismo. E che quindi non è, a dispetto di certi luoghi comuni di sinistra, il prodotto della povertà o dell'unilateralismo statunitense».

  • «I terroristi sanno, per esempio, che la principale 'debolezza' dell'Occidente è l'opinione pubblica. E' impressionante come usano i media, per fiaccare ancora di più l'opinione pubblica»
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  • La speranza si chiama Onu?
    «Chi lo dice sa dare un titolo: 'Vogliamo l'Onu'. Ma non un occhiello, ossia una spiegazione a questa domanda: 'Per fare cosa?'. Quello che potevano fare lo stanno facendo. Le Nazioni Unite hanno stabilito che il 30 giugno cambierà il governo, hanno deciso che il nuovo esecutivo iracheno durerà fino alle elezioni del gennaio 2005, hanno fatto una risoluzione e magari ne faranno un'altra. Ma oltre questo, l'Onu non può andare. Non dispone di un esercito».

  • Allora tutti a Baghdad?
    «E' ciò che i terroristi temono davvero. Ossia sentir gridare, contro di loro che dicono 'viva la muerte!', un antico urlo nobilissimo: 'No pasaran!'».

  • Servono Brigate Internazionali come quelle nella guerra di Spagna del 1936-39?
    «Direi di sì. Non a caso, Carlo Rosselli era un interventista. L'unico fatto nuovo e vero sarebbe il ricompattamento dell'Occidente. Questa nuova unità si tirerebbe dietro gli arabi moderati che adesso si possono permettere di stare alla finestra. Anche a causa di un Occidente spaccato».
  • Ma lei crede davvero che laggiù la democrazia sia esportabile?

  • «Nel mondo arabo, esistono fonti di informazioni a noi del tutto ignote. Le quali sostengono l'idea che c'è bisogno di una pressione esterna per diffondere la democrazia. Senza questo tipo di pressione da parte degli europei, e della politica reaganiana, il comunismo starebbe ancora in piedi. E l'apartheid in Sudafrica, è forse caduto da solo?».
  • «Un mio amico iracheno mi ha detto: siete proprio bizzarri! Sulle vostre tivvù, per il decennale dei massacri in Ruanda, è tutto un 'mea culpa', un 'mai più'. E subito dopo queste belle parole, cambiando scenario e passando a quello iracheno, senti i dubbi, le paure, il 'ritiriamoci subito' o 'poi', e chi invoca la Nato, chi l'Onu. E nessuno che dica che, se si va via dall'Iraq, il Ruanda si ripete a Baghdad. E i primi che verranno massacrati saranno proprio gli iracheni che hanno avuto fiducia nell'intervento occidentale».
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