Iraq. Il 9 aprile di un anno fa. Liberazione, «lavori in corso»
Un anno fa la caduta del regime di Saddam Hussein con la presa di Baghdad da parte degli alleati. Oggi però, la piazza del Paradiso a Baghdad è deserta, in Iraq nessun festeggiamento del primo anniversario della caduta di un regime brutale, che ha fatto soffrire milioni di iracheni, le forze della Coalizione stanno vivendo la fase più critica del dopoguerra, dopo aver deciso la linea dura per smantellare le milizie del leader sciita khomeinista Moqtada Al-Sadr. Ha persino, anche lui da radicale sciita, iniziato uno sciopero della fame contro «i massacri americani»: via gli americani o sarà rivolta. Il padre, lo zio e due fratelli di Moqtada sono stati uccisi da Saddam. Lui, il più giovane e meno carismatico della famiglia, è ricercato dai nuovi «oppressori», come chiama le forze della Coalizione contro cui sta mobilitando la sua piccola milizia di seimila uomini, mentre cerca la conquista del grande popolo sciita, il 60 per cento degli iracheni. Da giorni sta scatenando violenze in numerose città del centro-sud iracheno tentando così di sollevare il resto della popolazione sciita contro l'occupazione e accreditarsi a danno dei leader moderati Al Sistani ed Al Hakim, che partecipano al governo provvisorio iracheno. Time to take off the gloves, secondo Amir Taheri.
Saddam Hussein, arrestato dagli americani il 13 dicembre, aveva avvertito gli americani: «Ve l'avevo detto che vi avrei lasciato un paese in rovina - dice nell'immaginario monologo rivolto agli iracheni, scritto con ironia dal vicedirettore Ghassan Charbel del quotidiano arabo Al Hayat - ho mantenuto la mia promessa. Mi rimpiangerete». Perché sotto di lui il leader sciita Moqtada Al-Sadr o il presunto terrorista Musaab al Zarqawi (che secondo l'intelligence americana dirige le operazioni di al Qaida dall'Iraq) «non avrebbero aspirato ad altro che a restare vivi».
A Bush rimproveriamo di aver fatto troppo poco - accusa che unisce neocons e liberal - e di non essere stato fermo e determinato nel dopoguerra come lo fu durante la fase bellica. Sarà l'effetto di una caldissima campagna per le presidenziali di novembre, ma una maggiore determinazione, soluzioni politiche e non solo militari servono a vincere la pace in Iraq, come a rassicurare gli elettori Usa sulla fermezza dell'amministrazione contro il terrorismo. Nessuno chiede "svolte" che già ci sono state, tanto meno scellerati ritiri, ma la costruzione di un NUOVO multilateralismo, più truppe, più civili, più strategie, più alleati (la Nato, l'Europa??). E' ancora in tempo, l'Iraq può essere ancora liberato, ma...
presto, per favore
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