E' pur sempre un ritiro. Bush approva l'unilateralismo di Israele
Presto per giudicare, ma di fronte allo stallo palestinese, il governo israeliano ha deciso di fare il primo passo e - clamoroso - è un ritiro. Importante, unilaterale, gratuito. Lo volevate pure totale?
L'atto è uno scambio di lettere che ricorda la dichiarazione di Balfour. Il presidente Bush ha dato pieno appoggio al piano di ritiro unilaterale del premier israeliano Ariel Sharon. Ha definito «storica e coraggiosa» la decisione di ritirarsi totalmente da Gaza e parzialmente dalla Cisgiordania, purché queste iniziative si inseriscano nel contesto della
road map. Lo "scandalo" sarebbe che Bush ha concesso ad Israele di mantenere alcune colonie più popolose nei Territori occupati nel 1967. Ma dopo il ritiro già deciso, che è gratuito, cosa sarebbe rimasto da trattare con i palestinesi in cambio della fine del terrorismo, che non è neppure nell'agenda dell'Anp?
Inoltre, è stata ribadita la creazione di uno Stato palestinese, purché combatta il terrorismo e si dia istituzioni democratiche. Il diritto al ritorno del profughi palestinesi verrà esercitato, ma solo nei territori che costituiranno il futuro Stato. La barriera eretta da Israele in Cisgiordania «deve essere una barriera di sicurezza e non una barriera politica, deve essere provvisorio e non permanente e non deve incidere sulle questioni di assetto definitivo, comprese quelle dei confini».
Le reazioni.
Arafat: «La dirigenza palestinese ammonisce contro i rischi di un tale accordo perché sarà la chiara prova della completa fine del processo di pace». Le assicurazioni chieste agli Usa da Sharon investono questioni che dovevano essere oggetto di negoziati sulla soluzione permanente del conflitto e «porteranno alla fine di ogni possibilità di pace, di sicurezza e di stabilità nella regione», riavviando inoltre «il circolo vizioso della violenza nella regione».
Abu Ala: un appoggio americano al progetto di Sharon potrebbe significare la fine di tutti gli accordi, da Oslo alla road map. «Bush è il primo presidente americano a dare legittimità agli insediamenti ebraici in terra palestinese. Noi lo rifiutiamo e non lo accetteremo».
Il leader dell'opposizione laburista, l'ex-premier e premio Nobel per la pace Shimon Peres: le affermazioni di Bush sono in armonia con la posizione del mio partito.
Il premier britannico Tony Blair ha accolto positivamente il piano Sharon: «L'annuncio che Israele intende ritirare il suo esercito dalla Striscia di Gaza e smantellare tutti i suoi insediamenti in quella zona e alcuni di quelli in Cisgiordania è il benvenuto».
Va osservato che:
Un riconoscimento del diritto di Israele a mantenere il controllo di alcuni insediamenti - i più popolati - situati nei Territori occupati dal 1967, per quanto vago e sfumato, rappresenta una svolta nella politica estera americana, che ha sempre insistito affinché i confini definitivi di uno Stato palestinese siano concordati in negoziati diretti. Secondo Bush, oggi un accordo di pace tra palestinesi e israeliani deve riflettere le nuove realtà, comprese i centri popolati da ebrei in territori fino ad ora considerati destinati a uno Stato palestinese.
La dichiarazione di Bush serve innanzitutto a rafforzare il consenso sul "piano di disimpegno" da Gaza e da quattro insediamenti ebraici minori in Cisgiordania, sul quale il partito di Sharon terrà il 2 maggio un voto vincolante. La questione dei confini rimane materia di negoziato diretto con i palestinesi, che non viene escluso dalle lettere d'intesa scambiate oggi.
E' ancora presto per valutare la portata delle dichiarazioni di Bush. Non vanno sottovalutati, il positivo incontro, già svoltosi, del presidente Usa con il presidente egiziano Hosni Mubarak, e gli esiti dei prossimi e imminenti incontri a Washington sulla questione palestinese: con re Abdallah di Giordania, con Tony Blair, di Powell e la Rice con il ministro degli Esteri palestinesi Nabil Shaath e il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. Da lì verranno fuori il valore delle dichiarazioni di oggi e le prospettive di una ripresa della road map.
Va tenuto presente che ci troviamo di fronte ad una situazione in-audita. Non si è mai visto che il governo di un Paese in conflitto decida - per la pace - delle importanti e unilaterali concessioni, le quali non potranno più essere fatte pesare su futuri negoziati. La vera questione è che la road map è impantanata nell'incapacità, o nella mancanza di volontà, della leadership palestinese di soddisfare una delle sue precondizioni: la cessazione degli attacchi terroristici contro Israele e lo smantellamento delle organizzazioni terroristiche da parte dell'Anp. Di fronte a questo stallo il governo israeliano ha deciso di fare il primo passo: ed è un ritiro.
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