Il grosso equivoco, ricercato, che c'è alle spalle delle
«vacanze intelligenti» di Rutelli e Fassino a Boston:
«L'equivoco intorno a Kerry pacifista mostra una desolante mancanza di cultura politica. L'America è un sistema integrato di istituzioni democratiche e opinione pubblica, in fatto di politica estera e di sicurezza agisce una tradizione nazionale sperimentata e di assetto fondamentalmente bipartisan nelle scelte strategiche. Le agenzie delicate come la Cia sono al di sopra del cambio di amministrazione, il Congresso delibera e indaga con passione e sa controbilanciare l'esecutivo, ma anche quando c'è divisione e discussione, perfino nel circuito della stampa più seria e autorevole, non ci sono mai due Americhe, ce n'è una sola. Il mito giornalistico dell'altra America è una vecchia eredità intellettualistica e propagandistica dell'epoca in cui i cold warriors legati all'Unione Sovietica, e i loro indipendenti di sinistra, lavoravano per annettersi idealmente una regione dell'occidente che non esisteva nell’interesse superiore dello stato guida. Kerry promette di lavorare per un'America più forte e più sicura negli stessi termini di Bush: afferma di poterlo e di saperlo fare meglio, e se vorrà convincere la maggioranza degli americani dovrà portare prove solidissime. Ma la sua America è la stessa di quella del comandante in capo».
Il Foglio, 30 luglio 2004
Altre impressioni:
Il New York Times si è lamentato perché Kerry «non ha fornito un programma chiaro sull'Iraq»: gli elettori «avevano bisogno di sentirsi dire che aveva capito di aver fatto un errore appoggiando l'invasione. E' chiaro che Kerry non lo farà, e questo è una vergogna». Sugli altri aspetti, «Kerry e John Edwards hanno programmi chiari per l'agenda domestica, la sanità in particolare. La proposta di tagliare le tasse alla middle class però è pura propaganda».
Per il Washington Post il discorso di Kerry è stato «politicamente efficace», ma il candidato «ha perso un'opportunità di dimostrare il tipo di leadership di cui ha bisogno il paese». E' stato debole per l'assenza di riferimenti alla «difficile verità che le truppe Usa dovranno rimanere in Iraq a lungo» e perché «non fondate sulla realtà» le promesse di fermare l'emigrazione dei posti di lavoro all'estero e di svincolare l'America dalla dipendenza del petrolio mediorientale.
«Occasione perduta» anche per il
Boston Globe;
«Miopia» per il
New York Post;
«Apocalypse Kerry», titola
The New Republic, mentre per
USA Today Kerry è
«indeciso fino alla fine».
Christian Rocca sul suo blog ha definito quello di Kerry un «ottimo discorso, degno di una bella convention, sebbene suoni strano che il candidato alla leadership del mondo libero non citi l'Iran, non dica che cosa voglia fare dell'Iraq, del conflitto arabo-israeliano eccetera. Kerry ha soltanto spiegato ad americani, europei e alleati che in Iraq ci sarà un maggiore impegno Usa, se vincesse lui. Lo slogan, ottimo, è "l'America può fare meglio". Non di meno. Di più, e meglio. La guerra al terrorismo si fa, perché sono stati loro, i nemici, a dichiararla. Troppo populista, poco liberale, e irrealizzabile il programma economico. Commovente il passaggio sulla ricerca scientifica che può salvare vite umane. In generale, la giornata di ieri, sembrava la convention del Pentagono, non dei liberal di sinistra. Guerra, generali, soldati, veterani, Vietnam, onore, bandiere, chissà che ne pensa Pecoraro Scanio...».
Questo l'articolo sul Foglio.
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