Il guaio è che Saddam continuerà ad essere una "presenza"
Saddam processato dagli iracheni è per Sergio Romano la «migliore delle scelte possibili», scartati sia il Tribunale penale internazionale, non riconosciuto dagli Usa, sia il modello Norimberga, perché la «giustizia dei vincitori» è ormai troppo impopolare e figlia di un momento storico forse irripetibile. Romano ricorda gli effetti negativi del processo a Milosevic: «ha permesso all'imputato di trasformare l'aula della corte in una tribuna politica e ha creato in Serbia un pericoloso vittimismo nazionalista».
Il problema vero, giuridico, in questi casi è che «non basterà scavare fosse comuni e interrogare i sopravvissuti. Occorrerà dimostrare che ogni crimine è stato voluto e ordinato da Saddam».
E ci sarà chi, ad un processo politico, opporrà una difesa politica: chiedendo «perché tanti governi abbiano continuato ad avere intensi rapporti diplomatici ed economici con il dittatore, perché il vecchio Bush abbia permesso a Saddam di usare gli elicotteri nel Sud contro gli sciiti e gli abbia impedito di fare altrettanto nel Nord contro i curdi».
Inoltre, per le prove e le argomentazioni giuridiche serviranno una polizia giudiziaria americana, inquirenti americani ed esperti prevalentemente internazionali, e Saddam continuerà a essere nelle mani degli "occupanti". Vi è il «rischio» concreto che si perpetui «sotto altre forme», agli occhi delle opinioni pubbliche arabe, «l'ennesima "giustizia del vincitore", cosa tollerabile in un Paese conquistato e pacificato», ma «intollerabile» se la guerriglia e il terorrismo continuano e «se il nuovo governo non riuscisse a dare prova di vera indipendenza».
Conclude Romano: «Fare giustizia, dopo il crollo di una dittatura, è un problema delicato che non può essere affrontato con astratti criteri morali, senza tenere conto di ciò che potrebbe accadere nel Paese coinvolto. In molti casi è meglio lasciare che la faccenda venga regolata in famiglia secondo le consuetudini locali: un processo breve, un giudizio sommario e una conclusione, se possibile, rapida e brusca. L'assassinio di Ceausescu e di sua moglie ha permesso alla Romania di voltare pagina. La fucilazione di Mussolini ebbe il merito di evitare un lungo processo che avrebbe prolungato il clima della guerra civile. L'errore in quel caso non fu la fucilazione: fu quella che Leo Valiani definì un giorno la "macelleria messicana" di piazzale Loreto».
Corriere della Sera
Per Lucia Annunziata sarà «un processo pericoloso per gli Stati Uniti: non c'è dubbio infatti che, fin dalla sua prima apparizione davanti alla corte, Saddam Hussein ha mostrato ieri la forza di una presenza e di una linea di difesa che può avere un grande impatto sull'Iraq, e soprattutto sul mondo arabo più ampio». Saddam, come Milosevic, non rifiuta il giudizio, ma ne contesta le ragioni, cioè la butta in politica. Se per Milosevic fu a guerra finita, in Iraq, e in Medio Oriente, si combatte ancora - ed è guerra più vasta, regionale, contro il fondamentalismo e il nazionalismo arabo: «il gioco è ancora aperto».
Saddam si è difeso nel modo in cui tutti si attendevano, accusando Bush («è lui il criminale») e buttandola in politica: «Fu il Kuwait a costringerci a vendere il nostro petrolio a costo basso, impoverendo così le famiglie, e rendendo le nostre donne delle prostitute». «E' pura retorica, - osserva la Annunziata - ma di quella buona: di quella che tocca l'onore arabo, che è poi la grande, forse unica emozione che continua ad unire il mondo arabo ancora preso dai suoi conti con il Colonialismo. Se la guerra fosse finita, Saddam che parla così sarebbe ridicolo: ma con la guerra in corso Saddam può divenire su queste basi di nuovo un punto di riferimento politico».
La Stampa
Un fatto positivo per due grandi storici
Per il grande storico inglese Denis Mack Smith, il processo a Saddam è «passo obbligato per voltare pagina, per cercare di mettere fine a uno stato di incertezza e di inquietudine in Iraq». «E' importante anche sul piano simbolico, perché non è la giustizia dei vincitori, ma quella degli iracheni. Non sappiamo se gli iracheni saranno in grado di giudicare convenientemente Saddam, ma è comunque necessario che siano loro a processare l'ex dittatore».
«Nel caso di Saddam Hussein sono gli iracheni a processare il loro ex dittatore e questo fa certamente una grossa differenza» con il processo di Norimberga, sottolinea lo storico Giovanni Sabbatucci. Al contrario di quanto avvenne a Mussolini o a Ceausescu, «è stato messo in piedi qualcosa che assomiglia a un processo: siamo di fronte a un gradino di civiltà superiore. Questa procedura crea una grande quantità di problemi politici e giuridici ma è l'unica strada».
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