Washington Post
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Per Bush sarà dura, Kerry ha dimostrato di non essere Gore. Più di un commentatore ha registrato la vittoria forse più difficile per Kerry, quella dello stile. Era il primo obiettivo, mostrarsi fit for command. Pare centrato.
«... seemed calm, authoritative, and, yes, presidential», osserva Andrew Sullivan, anche se «he failed to ask why Bush hadn't sent enough troops to secure the border! He kept implying that the goal was to bring the troops home, and only at the very end did he assert that we were there to win, not to withdraw. Uh-oh».
«Bush prevale nella sostanza, Kerry nello stile» è anche l'opinione di Dick Morris, New York Post: «So Bush could not but win the debate. Kerry has taken such awkward and obviously wrong positions that Bush had to emerge as last night's winner. But Bush seemed disengaged, distracted and, at times, even bored. His performance reminded me of the style — or lack of it — that he brought to the pre-primary debates of 2000. He seemed to convey a message of: "Don't bother me, leave me alone, you don't understand and I can't bother to explain what I'm doing and why I'm doing it"».Sui contenuti Bush sembra aver retto bene. Sembra. Kerry è pienamente in corsa. Che Kerry se la sia cavata meglio emerge dalle prime reazioni dei due staff: quello democratico canta vittoria, quello repubblicano s'accontenta di proclamare un pareggio e dice che le cose sono al punto di prima e che nulla è cambiato. Con sondaggi volanti, in vero dalla scarsa attendibilità, le maggiori reti tv americane decretano Kerry vincitore: per l'Abc, 56% per il senatore contro 44% per Bush; per la Nbc, addirittura 69% contro 31%, 71%, risultato analogo per la Cbs, mentre è 71% a 29% per il Wall Street Journal, quotidiano conservatore.
Lo scontro in definitiva è stato su chi dei due potrà proteggere meglio il Paese, e, naturalmente, sulla guerra in Iraq: Bush vede un America più sicura, Kerry «un errore colossale di valutazione». Per Bush Kerry manda un segnale sbagliato: «Non capisco come lei possa riuscire a portare questo Paese a vincere in Iraq se continua a dire che la guerra è sbagliata, che il momento è sbagliato, che il posto è sbagliato. Che messaggio si manda così alle nostre truppe, che messaggio si manda ai nostri alleati, che messaggio si manda agli iracheni? Per vincere bisogna essere fermi e risoluti».
«L'unica coerenza del mio avversario è la sua incoerenza», rimprovera Bush a Kerry, che gli risponde brillantemente: «Ho commesso un errore nel parlare della guerra, ma il presidente ha commesso un errore nel farla. Quale dei due errori è il più grave?», aggiungendo: «Abbiamo bisogno di un presidente che abbia la credibilità per portare gli alleati intorno a un tavolo e che faccia ciò che è necessario affinchè l'America non resti isolata. È un lavoro che il presidente non ha fatto».
Mentre non si può negare che sull'Iraq Kerry sia contraddittorio in modo quasi endemico, Bush in effetti continua a non spiegare in tv qual è il suo piano per l'Iraq, si limita a criticare i «messaggi sbagliati» lanciati da Kerry, i quali lo renderebbero «unfit for command», e a sottolineare che «the world is safer without Saddam Hussein». Non può bastare, non è un piano.
Tuttavia, Fred Barnes, del Weekly Standard, non è preoccupato per Bush, «non è abbastanza per mutare le dinamiche del duello», mentre John Podhoretz, sul New York Post, ha giudicato «noioso» il dibattito, privo di nuove argomentazioni o di passaggi memorabili. Severo ma molto equilibrato il giudizio di Martin Peretz, su New Republic: «Sull'Iraq hanno mentito sia Bush sia Kerry», ma il pezzo vale la pena leggerlo tutto.
Per Charles Krauthammer, columnist del Washington Post la vietnamizzazione è nel destino di Kerry e del suo personaggio pubblico:In definitiva,
«... character is destiny. Kerry fell back to talking about the current war in the only way he knows -- in terms of Vietnam.
He does not say "Vietnam" explicitly. But this new, aggressive Iraq stance has one unmistakable theme: wrong war in the wrong place at the wrong time. Vietnam -- not as crime, not as glory but as terrible strategic mistake.
But where does Kerry go from there? He now gets an exceedingly rare historical second chance: Vietnam II, getting it right this time. What, then, is he offering as a solution? He will begin withdrawing troops by next summer and get us out by the end of his first term.
But this makes no sense. Why wait four years? If it is a quagmire, then one has to ask the question that John Kerry asked Congress in 1971, the most memorable line he has ever uttered: "How do you ask a man to be the last man to die for a mistake?"»
«if the question was whether Senator John Kerry would appear presidential, whether he could present his positions clearly and succinctly and keep President Bush on the defensive when it came to the critical issue of Iraq, Mr. Kerry delivered the goods», ha scritto il New York Times.
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