Della cerimonia di oggi per la firma della Costituzione europea (anzi, del nuovo Trattato) in Campidoglio, mi hanno impressionato, dal punto di vista simbolico, le immagini - tra le tante scontate e retoriche - che ritraggono Tayyip Erdogan, il primo ministro turco, firmare l'Atto finale sotto la maestosa statua bronzea del Papa Innocenzo X nella sala degli Orazi e Curiazi. Se per 500 anni la Turchia ha fatto parte della storia europea all'interno di quel voluminoso capitolo sullo scontro tra Europa e Islam, in questi mesi entrerà sempre più a far parte della storia europea, non come parte sconfitta di quello scontro secolare, ma come protagonista di un nuovo capitolo, da scrivere, sull'incontro con l'Islam.
Per due volte, nel 1529 e nel 1683, l'esercito ottomano arrivò alle porte di Vienna cingendola d'assedio. La prima volta, dal 29 settembre 1529, Solimano II il Magnifico, l'artefice della massima espansione dell'Impero Ottomano, pose sotto assedio Vienna per 25 giorni con centomila uomini, prendendola a cannonate e costringendo in città l'arciduca Ferdinando in ritirata dopo la sconfitta di Buda che sanciva la conquista dell'Ungheria da parte dei turchi. L'assedio però si concluse con il logoramento delle truppe ottomane, soprattutto a causa del maltempo. Il più grande Sultano dell'Impero ottomano la prese bene: «Dio, nella sua infinita saggezza, non ci ha permesso di conquistare Vienna», annunciò. Meno rilevante del secondo assedio dal punto di vista militare, fu però importante dal punto di vista simbolico. Per la prima volta, dopo una gloriosa avanzata per tutti i balcani e in Ungheria, l'Islam minacciava una delle grandi capitali della Cristianità. Un brutto presagio dei tempi avvenire. Allo stesso tempo, seppure di lì in avanti non mancarono importanti vittorie per i turchi, l'assedio segnò in modo inaspettato l'inizio del declino dell'Impero ottomano. Declino che registrò un'accelerazione irreversibile prima con la battaglia di Lepanto (1571), poi con il fallimento del secondo assedio di Vienna (1683) che portò alla pace di Karlowitz (1699), con la quale Bulgaria, Serbia e Ungheria tornarono agli Asburgo.
Nel maggio 1683, il gran vizir Kara Mustafà guidò l'esercito ottomano (duecentomila uomini, harem, arredi per le tende dei generali, salmerie con le provviste e migliaia di animali) dalla pianura di Belgrado verso l'Austria, avendo come avanguardia i terribili tartari. In due mesi l'Austria è messa a ferro e fuoco. Gli austriaci si vendicano appena possono: quando riescono a fare prigionieri, li spellano vivi o, come i turchi avevano insegnato a Candia, li scapocciano per buttare le teste sugli assalitori.
Con l'assedio di Vienna in corso, l'imperatore Leopoldo, sostenuto dal papa Innocenzo XI, costituisce la lega dei soccorsi, un'alleanza di principi cristiani, che in settembre giunge in soccorso di Vienna: Carlo di Lorena con l'esercito imperiale di ventunomila soldati, Giovanni III Sobieski con venticinquemila polacchi, il principe elettore Massimiliano Emanuele con undicimila bavaresi, ai quali si aggiunge anche un piccolo esercito sassone. In tutto circa settantamila soldati che, sotto il comando unico del re di Polonia, disperdono i turchi, che pagarono caro il non aver forzato l'assedio nei due mesi di schiacciante superiorità militare.
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