Dopo la doppia bocciatura della candidatura a commissario europeo dell'ex ministro Buttiglione da parte della Commissione Libertà civili del Parlamento europeo, il presidente della Commissione europea Josè Manuel Durao Barroso, incontrando Blair (!), ha rinnovato la sua «piena fiducia» in Rocco Buttiglione, spiegando: «Una cosa è il credo personale della commissione. Altra cosa, completamente diversa a volte, sono le politiche che si devono attuare. Non ci sarà alcun tipo di discriminazione», ha assicurato Barroso.
D'altra parte, lo stesso Buttiglione accompagnava le sue dichiarazioni omofobiche e clericali ribadendo la «distinzione kantiana» tra morale e diritto: «Un conto è la legge morale, un altro quella di un Parlamento: io non rinuncio alla mia morale, ma non pretendo che il Parlamento vi si adegui». Parole che possono essere accostate a quelle di John F. Kerry, candidato democratico alla Casa Bianca, che si è detto personalmente contrario all'aborto, ma pronto a non far pesare questa sua convinzione morale nel suo incarico pubblico. Oppure alle parole del vicepresidente Dick Cheney, che ha una figlia lesbica e si è dichiarato personalmente favorevole alle unioni omosessuali, ma sul piano pubblico allineato con il programma dei repubblicani, che non le accetta. La distinzione tra morale privata e diritto pubblico è alla base di un sano funzionamento di ogni istituzione liberale e tollerante.
Tuttavia, al contrario dei due uomini di Stato americani, le convinzioni morali di Buttiglione non sono frenate da un atteggiamento opposto della coalizione in cui milita e infatti sconfinano spesso nella sua azione politica, che al di là di rassicurazioni e delle parole di circostanza, possiamo certamente definire clericale e vaticanista.
Per questi motivi, condivido lo «scontro ideale» che Marco Pannella, dall'interno del gruppo liberale al PE e della Commissione Libe, ha voluto produrre sulla candidatura di Buttiglione a commissario europeo, ma sono altresì preoccupato dai mezzi e dai toni usati dal leader radicale, che ha sollevato anche una "questione morale" (... brivido!) sull'ex ministro del governo Berlusconi. Non vorrei che l'appartenenza di Pannella al medesimo gruppo parlamentare di Antonio Di Pietro, invece di produrre la liberalizzazione dell'ex pm, avesse prodotto la dipietrizzazione del Pannella medesimo. In tutta questa vicenda, fin dalla lettera inviata a Barroso, gli argomenti e gli accenti della posizione del leader radicale sono stati innegabilmente giustizialisti e ben si sposano sia con i record in materia dei colleghi di commissione Lilli Gruber e Michele Santoro, sia con i girotondi neoqualunquisti di Nanni Moretti. Questi strumenti propagandistici rendono poi fondate sia la denuncia da parte di Buttiglione di «una lobby che ritiene esista una indegnità morale e politica, direi perfino etnica, dei ministri di Berlusconi», sia quella da parte di Massimo Cacciari (Ds) nei confronti di una «cultura integralistica laica».
A volerla dire tutta, lo scivolone giustizialista di Pannella stride con la storia sua personale e del Partito radicale. Né le sentenze della giustizia italiana hanno mai costituito motivo di impedimento all'accesso di una carica politica, né implicazioni nella lotta armata e omicidi plurimi hanno mai precluso ad alcuno di acquisire responsabilità all'interno del partito. Alcuni segnali indicano infine un'altra evoluzione del pensiero politico di Pannella, evoluzione che potremmo definire di naderizzazione.
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