La strage irachena di Baquba ha aperto telegiornali e giornali di mezzo mondo; quella degli ancora più innocenti ragazzi di Medea, in Algeria, trucidati mentre si recavano ad una partita di calcio, ha avuto al massimo qualche trafiletto. Eppure...
«è una notizia importante, importantissima, tanto quanto è agghiacciante, perché conferma, con l'atrocità compiuta su quei sedici corpi straziati e oltraggiati, che il terrorismo islamico in Algeria è forte, continua a fare strage, che dopo 13 anni e una repressione feroce, è ormai diventato cronico. In questa conferma c'è anche la spiegazione del così poco rilievo che la strage dei tifosi ha così stranamente trovato sui nostri mass media, del perché nessun direttore di giornale abbia trovato interessante la notizia di un terrorismo islamico che considera il tifo calcistico un peccato da punire con lo sgozzamento e la morte. In Algeria, infatti, non c'è nessun americano, non c'è nessuna guerra, non c'è più nessun ebreo (sono stati costretti a fuggire, a centinaia di migliaia), non c'è nessun israeliano. Né Bush né Sharon possono essere accusati di aver fatto nulla che abbia prodotto terrorismo islamico. In Algeria non c'è questione nazionale aperta. Pure, dal 1991, 150 mila sono le vittime del terrorismo islamico, decine di migliaia sgozzate e decapitate. L'Algeria, insomma, testimonia, anche nell'orrore dell'ennesima strage, che il terrorismo islamico nasce dentro la società musulmana contemporanea, che non è reazione a nulla, neanche alla miseria, ma che è intrinseco a un orrido miraggio salvifico, a una religione, a uno scisma islamico, a una visione del mondo in cui il tifoso di calcio va punito con la morte». Leggi tutto
Il Foglio
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