Gli Stati Uniti «in guerra con fascisti islamici». Con quella espressione Bush dimostra di aver compreso la natura della minaccia. In realtà l'ha compresa da tempo. Se si escludono i molti commentatori e studiosi (da Berman a Ledeen, da Hitchens a Davis Hanson e a Bernard Lewis), per lo più di area neocon, tra i primi, alla Casa Bianca, nell'amministrazione Bush, a usare l'espressione islamo-fascismo per definire il nemico di questo scontro, furono, sul New York Times, due dei consiglieri per la sicurezza nazionale, Stephen J. Hadley e Frances Fragos Townsend.
L'importante è capire la natura della minaccia. E D'Alema, ma è in buona compagnia, non l'ha capita o finge di non capirla. Giorni fa, su Il Foglio, era Carlo Panella a spiegare quale fosse il grave, e più comune, errore d'analisi, prendendo ad esempio proprio il ministro degli Esteri italiano. Quella in corso non è una banale contesa fra nazioni, tra potenze regionali. Siria e Iran non sono alla ricerca del riconoscimento di un loro status, ed è falso che una volta coinvolte potranno svolgere un ruolo di stabilizzazione. Non sono in gioco l'Istria e la Dalmazia, Nizza e la Savoia, né le alture del Golan. E' un "conflitto di sistema" tra il blocco delle democrazie e un nuovo totalitarismo, che ha una versione fondamentalista dell'Islam, contraria alla modernità occidentale, come catalizzatore del consenso. La posta in gioco non è negoziabile.
«Il mondo - concludeva Panella - ha di fronte, di nuovo, il problema del "1933"», un movimento «utopista totalitario, antisemita e feroce, che gode di un consenso di massa radicato». Dopo la nazionalizzazione della masse europee, la quarta ideologia del '900: «l'islamizzazione della masse arabe», come avevamo scritto fin dall'anno scorso.
"Nulla sarà come prima". "Il mondo è cambiato". Ricordate le parole sulla bocca di tutti all'indomani dell'11 settembre 2001? E in che cosa, se non in questo, il mondo dopo l'11 settembre sarebbe cambiato? L'11 settembre a New York, l'11 marzo a Madrid, il 7 luglio a Londra, l'Afghanistan, l'Iraq, gli attacchi sventati oggi e la guerra in Libano, sono tutti diversi espisodi e fronti di un'unica guerra. Nonostante in molti, per motivi molto diversi fra loro, si rifiutino di chiamarla "guerra", l'espressione "guerra contro i fascisti islamici" è la più corretta e segnerà la nostra epoca, anche se non vuol dire che possa, e debba, essere combattuta e vinta solo nel momento bellico.
Probabilmente domani si parlerà di un possibile collegamento fra i tentati attacchi sventati a Londra e la guerra in Libano. C'è, ma non nel senso di un'alleanza tra Al Qaeda da una parte e Iran e Siria dall'altra. Il wahabismo di Al Qaeda e lo sciismo dell'Iran sono due visioni diverse e anche contrapposte dell'Islam, ma hanno nemici comuni. E molte più analogie politico-ideologiche di quante ne avessero nazismo e stalinismo. I due trovarono un'intesa tattica che permise a Hitler di muovere guerra. Non mi sembra il caso di oggi. Tra Al Qaeda e Iran vedo più un rapporto di competizione e questo per l'Occidente potrebbe anche essere peggio. Al Qaeda - basti ricordare il recente messaggio di Al Zawahiri - teme forse di essere scavalcata dall'Iran, agli occhi dei musulmani, nella guerra anti-sionista e, in generale, nella guida del Jihad globale. Al Qaeda e Iran competono per aggiudicarsi la guida religiosa, politica e militare della "Umma" musulmana.
Hezbollah è «parte integrante dell'esercito libanese», ha detto oggi il presidente libanese filosiriano Lahoud al Corriere della Sera: «La milizia combatte come i vietcong. E io sono con loro». L'importanza di questa dichiarazione è stata colta a pieno forse solo da Marco Pannella. L'intervista di Lahoud porta un utile elemento chiarificatore alla riflessione. Prova che la leadership libanese è ancora saldamente in mano ai siriani e a Hezbollah, altrimenti a una dichiarazione del genere un Siniora qualsiasi avrebbe risposto e gran parte del mondo politico libanese si sarebbe ribellato. Quell'intervista semplifica il quadro. La leadership libanese è complice di Hezbollah, sapeva cosa preparava, l'ha appoggiato o ha taciuto.
Uno dei maggiori studiosi di Islam, Bernard Lewis, sul Wall Street Journal (tradotto da Il Foglio), è tornato a parlare della minaccia iraniana.
Con l'Iran non c'è deterrenza nucleare che tenga. La visione apocalittica e l'ideologia del martirio - ormai radicata nel mondo islamico anche se non ha paralleli nel suo passato - rende il regime degli ayatollah impermeabile a quella paura di distruzione reciproca che frenò Usa e Urss, India e Pakistan.
Ahmadinejad ha annunciato che darà il 22 agosto la risposta definitiva sull'offerta avanzata da Europa e Stati Uniti per risolvere il problema dello sviluppo del programma nucleare iraniano. Ma perché questa data?, si è chiesto Lewis:
«Quale significato ha la data del 22 agosto? Quest'anno, il 22 agosto corrisponde nel calendario islamico al ventisettesimo giorno del mese di Rajab dell'anno 1427. Questa, secondo la tradizione, è la notte in cui i musulmani commemorano il volo notturno del profeta Maometto sulle ali del cavallo Buraq, prima alla "moschea più lontana" (normalmente identificata con Gerusalemme) e poi al paradiso (cfr. Corano XVII, 1). Questa potrebbe essere considerata la data più appropriata per la fine apocalittica di Israele e se necessario del mondo intero».Non è affatto certo, ovviamente, che gli iraniani abbiano deciso di scatenare un'apocalisse proprio il 22 agosto. Anzi, mi è parso strano che Lewis vi abbia accennato. Non credo che l'Iran sia già in possesso della bomba. Possibile che si sia fatto beffe di tutti i servizi segreti occidentali e mediorientali? Può darsi, invece, che Ahmadinejad intenda giocarsi quella data in termini di propaganda. Ma, suggerisce lo studioso, «sarebbe saggio tenere presente questa possibilità», quella dell'olocausto nucleare.
«Rivelatrice» una frase dell'ayatollah Khomeini, citata sui manuali delle scuole superiori iraniane:
«Annuncio a tutto il mondo che se i divoratori del mondo intendono ostacolare la nostra religione, noi ci schiereremo contro tutto il mondo e non ci fermeremo fino a quando non l'avremo distrutto. O diventiamo tutti liberi, oppure procederemo verso la più grande libertà che è offerta dal martirio. In entrambi i casi, la vittoria e il successo sono assicurati».Di fronte a una simile visione, a cosa può valere il deterrente che ha funzionato così bene durante la Guerra Fredda, quello della distruzione reciproca? Alla fine, per Khomeini, «ciò che conta sarà la destinazione: l'inferno per gli infedeli e il paradiso per i credenti». Si chiede Lewis: «Come si può affrontare un tale nemico, con una simile concezione della vita e della morte?».
Nel lungo termine, non si può che «fare leva su tutti i musulmani, iraniani, arabi e di altri paesi che non condividono questa visione apocalittica; che piuttosto si sentono minacciati, almeno e probabilmente, ancora più di noi stessi». Forse sono la maggioranza, ma il problema è: come raggiungerli? Come renderli consapevoli di ciò che sta accadendo, e della vita e le libertà che gli sono negate? Servono 10, 100, 1000 Radio Londra.
4 comments:
Sull'Iran, condivido l'analisi di Lewis.Più in generale mi sembra che gli sviluppi della situazione libanese, portino, a causa del combinato disposto dell'esitazione fatale di Israele e della cecità americana, (con i vecchi arnesi del circolo di Bush padre pare attivissimi nel convincere il figlio ad impedire l'attacco finale ad Hizbollah) ad un rafforzamento dell'asse jihadista.Andiamo bene...
il blocco delle democrazie saremmo noi? il totalitarismo loro?
interessante. Putin un democratico? l'Arabia Saudita invece, dove sta? Fino a prova contraria con gli USA, peró il Re saudita tutto é meno che un democratico.
La Turchia invece? In Germania la tengono buona, dato che ne hanno 9 milioni di turchi in patria.
Bush é il vero democratico? e l'Iraq adesso, ha una democrazia eletta dal popolo ed una condizione di vita migliore di prima o no?
domande retoriche, chiaro, cosí come quella di chiedersi la libertá di informazione che circola in Italia.
Terroristi fascisti che ci attaccano per destabilizzarci e poi comprano le armi da noi, che gli vendiamo volentieri.
l'economia sempre sopra a tutto!
Jim, dai commenti che ricevi, mi pare di capire che il pericolo mortale che incombe sul Mondo non venga assolutamente concepito come tale. Si sminuisce sempre tutto, forse perchè autopalesarsi lo scenario terrificante che i nostri NEMICI (si, uso il termine nemici, e lo scrivo maiuscolo, per chiarezza) sanno benissimo di averci preparato, significherebbe vivere in modo angoscioso. Ma nascondere la testa sotto la sabbia non sarà mai la soluzione. E visto che, fino a prova contraria, l'Occidente è militarmente, economicamente e strategicamente più attrezzato, è necessario che faccia pesare questa sua forza. La guerra sarà lunga, sanguinosa e probabilmente terribile per tutti, ma non possiamo permetterci di vivere nel terrore fondamentalista islamico, soltanto per la paura di intervenire. Non sono mai stato guerrafondaio, ed anzi caratterialmente ho sempre malsopportato i bulli, i violenti ed i litigiosi, e troppo spesso ho porto l'altra guancia nei rapporti con gli altri. Ma qui è in gioco il mio (il nostro) futuro. Non ci possiamo tirare indietro, facendo finta di nulla.
L'analogia tra il nuovo fondamentalismo islamico e i regimi totalitari del 900 e' piu' sensata di quanto possa sembrare perche' prima ancora che dalla componente nazionalistica i regimi furono caratterizzati da una "fondamentale religiosita'".
Fu una forma di religione infatti quella che nella Germania nazista sostitui' il concetto di Dio con quello di Stato, quello di Messia con il Fuehrer, quello di Fede con quello della fiducia assoluta nella classe dirigente, quello di speranza con il mito della certezza, quello della carita' con quello del sacrificio, quello della grazia con quello della razza ariana e quello del peccato con quello della razza inferiore, quello della eucaristia come partecipazione mistica al corpo di Gesu' con quello della "morte in guerra", ovvero partecipazione mistica al corpo della nazione.
Si tratta pero' di analogie che a mio avviso non devono essere spinte oltre un certo limite e non devono portare a conclusioni automatiche, induttive.
C'e' una minaccia islamica che ha trasformato e distorto completamente il conflitto MO ma questo non significa che Israele sta per fare la fine della Polonia del '39.
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