Il senso di ottimismo di Germania e Gran Bretagna su un imminente accordo, all'Onu, sulla prima risoluzione in merito alla guerra in Libano, che il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier e il premier britannico Blair avevano affidato stamani alle agenzie di stampa, è stato rapidamente, e beffardamente, gelato dal "no" di Mosca, poi parzialmente rientrato nel pomeriggio.
La bozza veniva definita «inutilizzabile» dal Libano dal rappresentante di Mosca alle Nazioni Unite, l'ambasciatore Vitaly Churkin. «Per noi è evidente che un tale progetto, che è inutilizzabile dalla parte libanese, non dovrà essere adottato, perché non farebbe altro che condurre al proseguimento del conflitto e delle violenze». Probabilmente solo un bel gesto nei confronti della Lega araba.
Non resta che aspettare, pare giovedì, e vedere quali, e quante, delle obiezioni avanzate dal Libano e dalla Lega araba saranno state accolte nella risoluzione, grazie alla disponibilità francese e all'ultima giravolta dei russi.
Intanto, c'è la cauta apertura del premier israeliano Olmert alla proposta libanese di dispiegare 15 mila soldati regolari sul confine con Israele: «È un passo interessante che dobbiamo esaminare. Dobbiamo verificarne tutti gli aspetti, e vedere in quale misura è realizzabile e in che tempi». E soprattutto verificare che Hezbollah non riesca a infiltrare l'esercito libanese. Israele, ha ribadito il premier, «non vuole occupare il Libano. Non vogliamo restare in Libano, vogliamo realizzare gli obiettivi dell'operazione: impedire il lancio di razzi ed allontanare Hezbollah dall'area. Prima lasceremo il Libano Sud, più saremo soddisfatti».
Ma gli snodi di questa giornata sono le nubi minacciose che si stanno addensando su Damasco e la ferma volontà di Teheran di non mollare l'osso libanese.
L'Iran non assisterà immobile al disgregarsi delle capacità militari di Hezbollah, alla perdita del territorio che controlla, e, quindi, al venir meno della sua influenza politica sul Libano, usato come campo base da cui lanciare attacchi contro Israele. Stati Uniti e Gran Bretagna, i regimi arabi sunniti con il loro silenzio-assenso in funzione antiraniana, e suo malgrado l'Onu, stanno lasciando parecchio tempo a Israele per terminare la "disinfestazione". Inoltre, ed è il campanello d'allarme suonato a Teheran e Damasco, all'Onu sta emergendo la concreta possibilità di un intervento internazionale che potrebbe rendere definitiva l'eliminazione dell'influenza iraniana sul Libano.
Ne parla in modo convincente Carlo Pelanda, oggi su Il Foglio. L'Iran, e la Siria, aiutano attivamente le milizie Hezbollah. Dalla base di Anjar, sede della Decima divisione dell'esercito siriano, dall'altra parte della città libanese di Az Zabdani, arriverebbero le informazioni di intelligence siriane e dei Guardiani della Rivoluzione iraniani contro l'esercito israeliano.
«Potrà l'Iran accettare la sconfitta? Dai primi segnali pare che non lo vorrà fare», osserva Pelanda. Userà l'arma del petrolio, ma soprattutto Teheran «sta tentando di condizionare il governo libanese, ricattandolo con la minaccia di una guerra civile, ad agire secondo modi utili al regime di Ahmadinejad. E sta cercando qualche governo che dica quanto sia essenziale dialogare con l'Iran per risolvere la crisi, finora ottenendo soltanto il sostegno di Prodi, probabilmente a fronte di un ricatto contro l'Eni e/o di sostanziosi incentivi».
La carta ancora nelle mani di Teheran è di «trasformare il conflitto Israele/Hezbollah in uno Israele/Libano, costringere i paesi arabi a scendere in campo a difesa di uno di loro e la comunità internazionale ad accettare l'Iran al tavolo negoziale per le soluzioni, ritardando nel frattempo l'intervento internazionale per costringere Israele a far la figura di occupante e ritirando metà degli Hezbollah per salvarli e poi riutilizzarli».
Che il ruolo di Iran e Siria preoccupi, si vede anche dalle parole di ieri del presidente Bush, che ha ripetuto le sue accuse agli autori dell'«attacco a Israele» - che «creano caos, e ricorrono al terrorismo per fermare l'avanzata delle democrazie in Medio Oriente» - ma innanzitutto spiegato ai sostenitori del dialogo, ingenui o in malafede, che i contatti con Damasco ci sono stati, che non è una questione di comunicazione quella che impedisce una soluzione della crisi, bensì di una risposta non positiva da parte dei regimi di Damasco e Teheran.
Se a quanto pare quella della Rice è la linea "morbida", la linea dura è sostenuta in particolare da Daniel Pipes, il direttore del Middie East Institute, consulente della Casa Bianca intervistato oggi dal Corriere.
Pipes dubita che l'intervento dell'Onu «possa avere un effetto costruttivo e duraturo». «Non eliminerà le cause della crisi». E ha spiegato che «le divergenze sul Libano sono il prodotto delle vecchie divergenze sulla strategia da seguire verso il radicalismo islamico, già emerse sulla Palestina, l'Iraq, l'Iran». Per risolvere la crisi libanese, conclude, «bisognerebbe fare alla Siria, lo sponsor di Hezbollah, un'offerta che non possa rifiutare: minacciare di bombardarla a meno che non neutralizzi questo gruppo terroristico... In base alla risoluzione 1680 dell'Onu dello scorso anno la Siria doveva impedire il transito di armi sul suo territorio. Con o senza l'Onu e l'Ue, gli Usa devono ammonirla che la colpiranno, se continuerà ad aiutare Hezbollah». Per farla cedere, secondo l'analista, «basterebbe un blitz mirato contro le intrastrutture terroristiche e militari siriane». E sarebbe «una lezione anche per l'Iran».
Gli europei non capiscono che «la partita in Libano è cruciale, che mette in pericolo, oltre a Israele, il Medio Oriente e l'Europa, che non si deve chiudere con la vittoria del radicalismo islamico, un movimento simile al fascismo e al comunismo, forse ancora più fanatico».
Che si guardi sempre più alla Siria lo dimostra anche l'intervista al Giornale del ministro della Sicurezza israeliano, Avi Dichter: «Damasco è una minaccia».
«Stiamo già pensando a come colpire per mettere fine a tutto ciò... A Damasco sanno cosa significa minacciare Israele, e sono consapevoli del prezzo che pagherebbero. Il problema non sono le loro minacce, ma quello che già stanno facendo. Grazie a loro Hezbollah continua a ricevere rifornimenti e testate missilistiche. A noi basta questo».
1 comment:
Grazie per la citazione ieri sera e soprattutto grazie per aver parlato di questo "gate" (che ora sembra coinvolgere anche l'AP).
Ancora ieri hanno parlato tutto il giorno di "almeno" e "oltre 60 morti", citando Kofi Annan, ma non le smentite di HRW e dello stesso governo libanese...
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