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Tuesday, August 15, 2006

Berman, Ottolenghi, Lewis: la risposta al fascismo islamico

Il saluto dei fascisti islamici di HezbollahL'islamismo tra i totalitarismi. Qualcosa di più di un gruppo eversivo, ma di meno di uno scontro di civiltà. «Riconversione ideologica delle masse» contro il rischio islamizzazione. «Dobbiamo liberarli, altrimenti ci distruggeranno»

Farebbe un po' sorridere, se non si trattasse di cose tremendamente serie, che i "grandi" giornali italiani si accorgono ora, con tre anni di ritardo, della riflessione di Paul Berman sulla minaccia fondamentalista. Il dibattito sull'islamo-fascismo, di cui solo oggi i loro lettori sono portati a conoscenza, appare quasi surreale a chi queste cose le mastica ormai da anni, avendo avuto la possibilità, e la voglia, di attingere ad altre fonti.

Dà, però, il senso del colpevole ritardo con cui i mainstream media si muovono nell'analisi degli eventi. O, ancor più, della refrattarietà a trattarli in profondità. Ci sono volute le parole di Bush sui «fascisti islamici», per la verità neanche le prime, in coincidenza con una nuova strage, questa volta mancata, a far deflagrare il dibattito.

Su molti blog, compreso questo, se ne parlava già ben tre anni fa, quando, grazie soprattutto a Christian Rocca, abbiamo conosciuto Paul Berman, e il suo libro "Terrore e liberalismo", sulla natura antifascista della guerra al fondamentalismo, ancora oggi una delle migliori analisi del fenomeno, e Christopher Hitchens, che ha coniato l'espressione «islamo-fascismo». Oltreoceano e sui blog che seguono la politica internazionale si sviluppò subito il dibattito su quelle tesi, che furono per lo più accolte.

Nei giorni scorsi Berman è stato intervistato dal Corriere per esporre gli argomenti a sostegno dell'espressione «islamo-fascismo», termine che definisce «storicamente e linguisticamente» il più appropriato a spiegare l'«estremismo islamico». Si tratta di un'ideologia «strettamente imparentata con nazismo, fascismo e franchismo...», che, «come i totalitarismi europei del Novecento, è basata su una mitologia che da una parte vede un popolo probo e giusto, dall'altra una cospirazione cosmica di nemici stranieri e forze interne inquinanti che lo opprime. Imponendogli di scatenare una guerra di sterminio: una titanica lotta mitologica di liberazione... Condividono un'utopia: il ritorno all'età d'oro del passato, rielaborata in versione futurista... lo scopo dei jihadisti è restaurare l'età d'oro del Califfato del VII secolo».

Altro elemento che li unisce è il «culto della morte», cui, «in un modo o nell'altro, tutti i movimenti fascisti sono approdati». Tutti i totalitarismi sono «germinati in Europa... e poi si sono diramati nel mondo, ispirati dagli stessi testi e pensatori». Il «moderno islamismo» non sfugge a questa regola, «fondato nel 1928 in Egitto con i Fratelli Musulmani e poi con il Baathismo, nato a Damasco» da intellettuali di formazione europea.

L'Occidente, e soprattutto la sinistra, stentano a riconoscere la vera natura della minaccia. E' un'altra similitudine con i totalitarismi del '900. Anche allora l'Europa, il mondo intellettuale e politico, non riconobbero la minaccia e se ne fecero travolgere, quando addirittura non se ne invaghirono. «L'inabilità di capire questi movimenti e la tendenza ad incoraggiarli, direttamente o indirettamente, è un'altra tragica costante... e spiega forse il motivo per cui essi, prima o poi, hanno finito per travolgere l'Europa. Oggi vediamo la stessa confusione e incapacità di mobilitarsi di fronte al fascismo islamico che sperimentammo di fronte al nazifascismo».

Ma se possibile, oggi «le colpe degli intellettuali sono maggiori» e la sinistra, con l'eccezione di Blair, «non sta facendo niente».
«L'intellighenzia, soprattutto a sinistra, è intenta a impugnare categorie storiche e socio-economiche per capire cosa c'è di razionale, congruo e persino ammirevole in questi movimenti. Dimenticandosi che dal '79 a oggi il fascismo islamico ha sterminato milioni di persone, ma questi morti restano invisibili a molti intellettuali e leader occidentali che in un grottesco delirio osano paragonare Hezbollah e i terroristi iracheni ai partigiani francesi e italiani».
Emanuele Ottolenghi, su Il Riformista, premette che «i paragoni storici sono sempre quelli che sono. Ma le categorie servono a capire un fenomeno», e la più utile per capire il terrorismo islamista e l'ideologia fondamentalista è «quella del totalitarismo», usata da Berman.
«L'Islam radicale usa brutali meccanismi di repressione, s'ispira a un passato mitico a cui vuol far ritorno, aspira a imporre un nuovo ordine e spazzare via un mondo corrotto, articola un'ideologia pervasiva di tutti gli aspetti della vita, impone un'ortodossia comportamentale attraverso uno stato-partito e i suoi meccanismi repressivi. A capo di questi movimenti c'è un leader carismatico; chi ne fa parte è votato a un culto della morte e della violenza».
Sono tutti elementi che accomunano nazismo, fascismo e islamismo. In molti, avverte Ottolenghi, si smarcano dal dibattito storico e terminologico, perché cercano di «sminuire» le caratteristiche del terrorismo islamico «per timore delle conseguenze di dir le cose come stanno».
«E' giusto includere l'Islam radicale nella categoria dei totalitarismi perché agisce come un'ideologica totalitaria, il cui scopo precipuo è di creare un nuovo ordine mondiale fondato su un'utopia, il trionfo della quale giustifica qualunque mezzo, compreso l'assassinio di chiunque sia d'ostacolo e di milioni di altri innocenti».
«Un'altra virtù del termine fascismo» applicato al radicalismo islamico, ha spiegato Berman al Corriere, è che «ci permette di capire come il nemico sia qualcosa di ben più grande di un piccolo gruppo eversivo, che può essere liquidato con le armi. Ma allo stesso tempo è anche qualcosa di molto più piccolo di uno scontro tra civiltà».

Appare quindi risibile l'obiezione di Gilles Kepel, avanzata nell'intervista concessa a la Repubblica, per la quale non sarebbe possibile parlare di un «fascismo islamico» perché, a suo avviso, «i gruppi terroristici islamici sono il contrario di un movimento di massa». E' esattamente il contrario. I gruppi combattenti potranno anche essere una stretta minoranza, ma l'ideologia jihadista, nella formula wahabita o sciita, ha da tempo messo le proprie radici nelle grandi masse arabo-islamiche. Si tratta forse ancora di una parte minoritaria dell'intera società mediorientale, ma certo è un fenomeno di massa, che riguarda milioni di persone. E la sua diffusione suggerisce un altro paragone, quello con la nazionalizzazione delle masse europee, studiata da Mosse per spiegare nazismo e fascismo. Il fenomeno si sta ripetendo nella "nazione" islamica? Siamo di fronte a una «islamizzazione delle masse musulmane»?

Secondo lo stesso Ottolenghi, la causa del terrorismo «non è che l'Occidente sbaglia politica estera. La causa è una radicalizzazione della società islamica - in Medio Oriente e in Europa - e il rifiuto di molti musulmani di abbracciare appieno i valori occidentali».

L'attualità del processo di «islamizzazione delle masse» non fa che confermare l'importanza della battaglia politica e ideologica contro l'islamismo. Si tratta, aggiunge infatti Berman, di «un movimento politico moderno, con tutti i suoi limiti», che «può essere neutralizzato solo con la forza della persuasione. Come fascismo, nazismo e comunismo, caduti grazie alla riconversione ideologica delle masse».

L'intellettuale liberal vede anche un «pericolo» per l'Occidente, «perdere i suoi sacri valori liberali, distruggendo la natura stessa della nostra democrazia, accanendoci contro gli emigranti e diventando dei bigotti anti-Islam, intolleranti e razzisti. Se ciò dovesse accadere, la nostra società non sarebbe mai più la stessa».

Se da una parte dobbiamo guardarci dal «pericolo» indicato da Berman, rischiamo di perdere la democrazia anche se non sapremo affrontare la guerra al terrorismo per quella che è: una guerra antifascista. Dovremmo ricordare cosa successe quando l'Europa «provò a "capire" e "soddisfare le rivendicazioni" di una Germania arrabbiata e umiliata negli anni Trenta», avverte Ottolenghi.

Il rischio è che parti sempre più consistenti delle nostre società abbandonino la democrazia, spiegando «l'incapacità della democrazia a resistere al male come il risultato del fallimento dei suoi fondamenti morali». Esattamente come accadde negli anni '20 e '30 del secolo scorso, quando i governi liberali fallirono nel «gestire la minaccia del comunismo», ma soprattutto - direi - le difficoltà economiche e le forme accelerate di modernizzazione, economica e politica, del primo dopoguerra, rafforzando la risposta autoritaria di fascismo e nazismo.
«Il fallimento occidentale di vedere nell'Islam radicale un'ideologia totalitaria finirà col portare voti e influenza politica all'estrema destra europea. La strada si aprirà quindi a un processo di erosione di valori liberal-democratici...»
L'incapacità dell'Occidente di guardare in faccia il "male", e di chiamarlo per quello che è, è stata al centro anche di un'intervista di Bernard Lewis al Corriere:
«La grande differenza tra noi e loro è che loro credono in se stessi e in ciò che stanno facendo, noi no. Paghiamo la crisi morale dell'Occidente con il suo devastante cocktail di correttezza politica, complesso di colpa "liberal" e multiculturalismo. Parlo soprattutto dell'Europa. Nel Vecchio Continente l'Islam gode di un livello di immunità dalle critiche che la Cristianità ha perso e l'Ebraismo non ha mai avuto».
Che fare? Lewis ripropone quella che qualcuno, facendolo sorridere, ha definito «Dottrina Lewis», di cui avevamo già parlato mesi fa. La prima cosa da fare è riconoscere la vera natura della minaccia terroristica, con la sua dimensione ideologica e totalitaria. Gli islamici moderati continuano a essere la maggioranza, seppure paralizzati dalla minoranza «più energica».

«L'unica medicina si chiama libertà. La stragrande maggioranza dei Paesi islamici continua a essere governata da tiranni. Regimi autocratici vessati da difficoltà socio-economiche inenarrabili che costituiscono il terreno più fertile per la prolificazione del terrore... Ma non è l'emancipazione economica la più importante, bensì l'emancipazione politica. Basta guardare all'Iraq dove il tentativo di stabilire il primo governo democratico stava funzionando, ma la prospettiva di un Iraq davvero libero ha terrorizzato i tiranni dei paesi limitrofi spingendoli ad adoperarsi in tutti i modi per impedirlo. E purtroppo ci stannno riuscendo».

Il leader sciita Moqtada al Sadr, con il suo esercito del Mahdi e un suo peso politico (cinque ministri nel governo iracheno e trenta parlamentari), si candida al ruolo di Hezbollah iracheno, uno stato dentro lo stato. Il suo legame con Teheran è sempre più stretto e aver trattato il suo ingresso nell'"arco costituzionale" è stato un errore, che gli ha dato il doppio vantaggio dell'ambiguità del movimento bicefalo: armi e politica.

Tuttavia, secondo Lewis, non si tratta di «esportare» democrazia, ma di rimuovere gli ostacoli e dare una mano: «La rivoluzione deve partire dal basso, noi possiamo fornire solo un aiuto discreto. Com'è successo in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale: a trasformare la penisola ci hanno pensato gli italiani. Noi abbiamo dato una mano».

A questo punto, due sono gli scenari in Iraq: «O gli iracheni riusciranno, con il nostro aiuto, a fondare una società aperta e democratica che porterebbe pace e stabilità nel Medio Oriente, o noi, e loro, falliremo e i tiranni e i terroristi vinceranno. Allora, Occidente e Islam si distruggeranno a vicenda, lasciando il futuro a India e Cina. Dobbiamo liberarli, altrimenti ci distruggeranno».

7 comments:

Anonymous said...

Non meravigliarti del mainstream dei media nostrani. A RadioRadicale, tanto per dirne una, il noto giornalista radiotelevisivo ed exparlamentare nella rassegna stampa del sabato, M.Taradash, gongola e si compiace di ignorare chi sia Christopher Hitchens... Riascoltare per credere.
Salutoni

Anonymous said...

Ed i nostri mitici Baffino Prodino e Rutellino? Loro sì, che da grandi statisti qual sono, hanno già capito tutto e sanno benissimo da che parte stare!!!

E questi sono i politici cui i Radicali si sono legati solo per... non morire di stenti dopo aver fatto per lo meno un paio di salti mortali all'indietro. Ed i risultati in termini di consenso ed iscritti sono sotto gli occhi di tutti. Per non parlare della RNP.
E c'è ancora chi sta a guardare alla crisi dei DS e della fandonia per gonzi del Partito De..che!?

Anonymous said...

Ma come fate a restare in una coalizione così sgangherata? Con una politica estera siffatta?

Vi trattiene soltanto l'esizialità delle vostre finanze! Non vi riconosco più!

I Radicali si sono svenduti per la pagnotta!!!

Anonymous said...

Prima o poi riuscirai a riflettere ed a scrivere della CRISI profonda del consenso ai Radicali...

Anonymous said...

Perchè non anche.... KOMUNISTI?
In fondo, oggi, nel mondo intero, i principali alleati degli islamonazifascisti sono proprio i movimenti terzomondisti, pacifisti, antiglobalizzazione, antiimperialisti, anticapitalisti, antioccidentali, ecc... che sono i nipoti orfani del KOMUNISMO SOVIETICO. Dal CentroSudAmerica fino alla Cina.

Anonymous said...

Ieri non sono riuscito a commentare le dichiarazioni oscene di D'Alema, oggi ci ha pensato la comunità ebraica di Roma.
Sono stati anche troppo buoni, diciamo....

Ciao Paolo ;)

perdukistan said...

urka solo commenti anonimi... eccono uno autografo

http://perdukistan.blogspot.com/2006/08/la-luna-e-salo.html