«Chi vincerà la guerra?». L'editoriale più equilibrato sull'esito politico e militare del cessate-il-fuoco seguito alla risoluzione 1701 dell'Onu mi è parso quello sul Foglio di oggi. E' troppo presto, al di là delle contrapposte proclamazioni di vittoria, per stabilire chi abbia vinto. Anche perché si è trattato solo di una prima fase della guerra tra Israele e Iran.
Per decretare un vincitore bisognerà prima capire se gli Hezbollah riusciranno o no a ricostruire le loro postazioni nel sud del Libano e se manterranno il loro peso di partito armato nella politica libanese. E questo dipenderà in gran parte dal carattere della missione della forza internazionale, dal suo mandato e dalle regole d'ingaggio.
Il problema sono le troppe ambiguità della risoluzione Onu, soprattutto sul disarmo di Hezbollah. In tanti, in Italia (e soprattutto a sinistra) pensano che la forza d'interposizione debba semplicemente innalzare la bandiera dell'Onu al confine e tenere separati, con equidistanza, o «equivicinanza», Israele e Hezbollah. Se davvero fosse così, la missione sarebbe fallita ancor prima di cominciare.
L'amministrazione Bush, dall'inizio della crisi, ha ribadito che non avrebbe tollerato un ritorno allo status quo ante, ma la risoluzione 1701 rischia proprio di far ritornare la situazione allo status quo ante, con l'aggravante di una milizia, Hezbollah, che ha dimostrato di saper tenere testa a Israele sul piano militare e quello politico, ergendosi quindi a vera e propria "icona" antisionista nel mondo arabo.
La nuova risoluzione torna a chiedere il disarmo di Hezbollah, ma non indica con precisione a chi spetta il compito di farlo eseguire. Autorizza una missione di peacekeeping secondo il Capitolo VI della Carta dell'Onu, che, seppur rinforzata come ha ricordato la Rice («tutte le misure che si renderanno necessarie»), non prevede che i caschi blu disarmino Hezbollah né contiene il riferimento al Capitolo VII sull'uso delle armi, delimitato quindi all'autodifesa.
Il compito di disarmare le milizie sciite dovrebbe essere affidato all'esercito libanese, composto in gran parte proprio di soldati sciiti. Operazione difficile, sempre ammesso che il governo di Siniora riesca effettivamente a ordinare il disarmo. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, ha parlato chiaramente: «Non è il momento di parlare di disarmo». Il ministro della Difesa libanese, Elias Murr, ha già dichiarato che «l'esercito libanese non andrà nel sud per togliere le armi a Hezbollah e fare il lavoro che non hanno fatto gli israeliani».
Così stando le cose, non sarà una passeggiata per il contingente italiano che farà parte della nuova Unifil. Sarà peggio che in Iraq e Afghanistan. «Se gli Hezbollah ricevono l'ordine di deporre le armi non ci saranno problemi. Quest'ordine lo dovrebbe dare il governo libanese che non l'ha potuto mai dare nonostante una risoluzione delle Nazioni Unite. Se non c'è la volontà di posare le armi, allora la possibilità di poter onorare la risoluzione significa andargliele a prendere per poterle distruggere. E questo rende complicato il compito», ha spiegato il generale Franco Angioni, comandante della missione italiana in Libano dell'83, al Tg5. D'altra parte, il tipo di mezzi che dovrebbero essere utilizzati, confermerebbero le non rosee previsioni: non sarà una passeggiata.
Al Corriere, invece, un altro generale, ha avanzato tutto il suo scetticismo sull'efficacia delle missioni militari Onu, svelando particolari poco noti della catena di comando: «Missioni a guida Onu? Sono state un disastro». Non un parere qualsiasi, ma del generale Fabrizio Castagnetti, responsabile delle missioni estere. Il piano per il Libano è quasi pronto, non è questo il problema: «Le mie perplessità riguardano il funzionamento dei vertici della forza di pace».
«Perché il comandante ha le mani legate. Non può prendere decisioni senza consultare il Palazzo di Vetro, a New York. Ma le sue invocazioni di ottenere delle direttive chiare si infrangono contro la burocrazia elefantiaca delle Nazioni Unite. Nessuno si prende la responsabilità di trasmettere un ordine. Invece il comandante ha quasi sempre bisogno di ricevere input chiari e rapidi altrimenti non sa cosa fare... Prendiamo il caso della Somalia, ed abbiamo davanti il disastro che ne è venuto fuori sotto il comando Onu. Stessa storia nei Balcani. Alcuni comandanti sono sprofondati nella disperazione più nera perché non riuscivano a ottenere uno straccio di direttiva dall' Onu. Abbandonati. In Ruanda l'ufficiale che guidava la missione si mise a piangere perché all'Onu nessuno gli dava ascolto mentre la gente si massacrava».Sarebbe stata preferibile una «coalition of willings», tenendo fuori l'Onu.
La cosa più probabile è che l'Unifil e l'esercito libanese «coesisteranno» con Hezbollah, che si riarmerà e riprenderà a intimidire il governo libanese e Israele. E' lo scenario più probabile, anche considerando che Siria e Iran, gli sponsor e i rifornitori di Hezbollah, non hanno subito alcuna conseguenza negativa per il ruolo destabilizzatore svolto in questi anni. Anzi, la loro influenza regionale è aumentata. Sarà pure propaganda, ma oggi hanno festeggiato la vittoria di Hezbollah. Il presidente siriano Assad ha detto che «la vittoria di Hezbollah ha distrutto i piani Usa per ridisegnare il Medio Oriente». Il presidente iraniano Ahmadinejad ha affermato che Hezbollah «ha issato la bandiera della vittoria» su Israele. E in Europa c'è chi vuole offrire ancora più carote, e sempre più grosse.
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