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Tuesday, April 17, 2007

Nuove forme di antisemitismo si aggirano per l'Europa

Su L'Opinione di oggi:

La copertina del libro di OttolenghiC'era un'importante pezzo di mondo liberale, laico, socialista napoletano mercoledì scorso, a Napoli, per la presentazione del libro di Emanuele Ottolenghi "Autodafé – L'Europa, gli ebrei e l'antisemitismo" (Lindau). Un appuntamento organizzato, nella sede de il Denaro, dal Centro Studi Volcei, dall'Associazione Italia-Israele e dalla rivista LibMagazine, al quale sono intervenuti, tra gli altri, Antonio Landolfi, Luigi Compagna, Umberto Ranieri e, presente in sala, Biagio de Giovanni.

Emanuele Ottolenghi, che oggi dirige il Transatlantic Institute di Bruxelles, e dal 1998 al 2006 ha insegnato Storia d'Israele all'Università di Oxford, ha raccontato una storia di «incredulità» e di presa di coscienza: l'antisemitismo è un pregiudizio che sta lentamente tornando ad essere socialmente accettabile in Europa. Un percorso personale dall'accettazione del fatto che accanto alla propria rivendicazione nazionale ne esistesse un'altra, quella palestinese, altrettanto legittima, e che fosse necessario un compromesso, all'«incredulità di essere tacciato di fascismo perché ancora sostenitore del diritto degli ebrei ad avere uno stato nazionale in una parte della terra da loro rivendicata».

Un fenomeno che negli ultimi 7 anni è cresciuto in modo allarmante, riaffacciandosi sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi. E ancor di più sconcerta l'«incredulità» che suscitano, presso l'establishment europeo e l'opinione pubblica, le reazioni delle comunità ebraiche.

Il professor Ottolenghi cita quattro esempi precisi. Nella Pasqua del 2002, mentre nei Territori palestinesi è in corso un'offensiva in reazione a una serie di attentati e le forze israeliane assediano la Chiesa della Natività di Betlemme in cui sono asserragliati militanti palestinesi, viene pubblicata una vignetta che raffigura il bambino Gesù che si sporge dalla mangiatoia mentre arriva un carro armato israeliano, e dice: "Non vorranno uccidermi ancora?". Tre giorni prima, su un'altra testata nazionale, viene raffigurato Ariel Sharon che, bloccando con il suo peso fisico una tomba dalla quale sporge un braccio, impedisce la resurrezione di Gesù Cristo.

Un quotidiano inglese, il giorno prima della rielezione di Sharon, pubblica una vignetta che raffigura il premier israeliano nudo, «come un orco», intento a divorare il cadavere sfigurato di un bambino: "Ma non avete mai visto un politico baciare un bambino?". La comunità ebraica inglese insorge, ma la vignetta vince il premio di miglior satira politica dell'anno. Il principale settimanale conservatore inglese, lo Spectator, ospita l'articolo di un intellettuale anglicano convertito all'ebraismo che paragona Israele al nazismo.

Come documentano questi casi, osserva Ottolenghi, non si commenta più un'azione militare, naturalmente discutibile e criticabile, nel merito dell'evento, analizzando circostanze, ragioni e torti, ma si ricorre ad antichi stereotipi antisemiti, come l'accusa di deicidio e l'accusa del sangue. E si scomoda addirittura il nazismo, come pietra di paragone per i "crimini" di Israele oggi. Secondo i sondaggi, il 63% degli europei spiega i sempre più frequenti attacchi alle tombe, ai luoghi di culto e alle personalità ebraiche non come antisemitismo, ma come reazioni, riconosciute certo eccessive e deplorevoli, alle politiche israeliane.

Ma non siamo di nuovo negli anni '30. Ottolenghi lo esclude categoricamente: «Allora l'antisemitismo era un'opinione socialmente diffusa e rispettabile, godeva del sostegno attivo delle chiese e prima dell'avvento del nazismo era parte delle legislazioni nazionali. Oggi la legge non condona ma condanna l'antisemitismo, la dottrina cristiana e cattolica non lo condona, ma lo condanna. Il cambiamento è epocale. La polizia è davanti alle sinagoghe per difendere gli ebrei, non per arrestarli. Le istituzioni sono attive nel condannare il pregiudizio e nel difendere coloro che ne sono vittime in modo efficace». Dunque, occorre fare attenzione, perché «il paragone con gli anni '30 vuol dire trivializzare il fenomeno» in un duplice senso: demonizzando chi nutre questo pregiudizio, ma soprattutto sminuendo il tragico passato. Addirittura un Premio Nobel come Josè Saramago ha paragonato ciò che gli israeliani hanno fatto a Ramallah a ciò che i tedeschi fecero ad Auschwitz. Ma «se Ramallah, con tutte le ingiustizie e le brutalità, è come Auschwitz, allora Auschwitz, dove morivano migliaia di persone al giorno, non è altro che una Ramallah».

Ottolenghi rigetta le accuse di chi ha voluto vedere nel suo libro il tentativo di bollare qualsiasi critica a Israele, alle politiche dei suoi governi, come demonizzazione e antisemitismo e ribadisce con forza che non sono le critiche a Israele il problema, ma «quella critica che nasce dall'aspettativa che gli ebrei non possono mai sbagliare» e che si muove nel pregiudizio che «nel momento in cui sbagliano, come collettività o come singoli, non sono più uguali agli altri», ma devono una volta di più degli altri dare prova di umanità.

L'«animus» del pregiudizio anti-ebraico di oggi è paragonabile a quello dell'"affaire Dreyfus". Quattro elementi suggeriscono a Ottollenghi il paragone tra il Dreyfus di ieri e quello di oggi, lo Stato di Israele. Innanzitutto, le folle nelle strade di Parigi che non gridavano "morte a Dreyfus", ma "morte agli ebrei". Dunque, il meccanismo dell'attribuzione di una colpa collettiva a un popolo intero per la sua associazione a un individuo ritenuto colpevole. Poi, l'odio che si scatena non da una colpevolezza accertata, ma da una calunnia. Terzo elemento, i due pesi e le due misure, che si applicano anche oggi a Israele. Quando venne fuori la verità, Dreyfus fu riabilitato, ma il vero colpevole, l'ungherese Esterhazy, finì i suoi giorni da uomo libero, in Inghilterra, con una pensione garantitagli dello Stato francese. Quando venne smascherato nessuno per le strade si scatenò colpevolizzando gli ungheresi.

Così come, quando negli anni '90 vengono rivelati al mondo i crimini dei serbi nella ex Jugoslavia, nessuno si sogna di criminalizzare i serbi o di bruciare le chiese serbe-ortodosse in Europa. E dopo gli attacchi terroristici a Londra e a Madrid, quando si sono verificati alcuni episodi di razzismo anti-islamico, nessuno si è sognato di dire che non fossero atti di razzismo anti-islamico, ma di "comprensibile seppur deplorevole reazione al terrorismo". Infine, il ristabilimento della verità storica che non è più sufficiente ad arginare il pregiudizio, che vive di vita propria. Nel marzo 2006, ha ricordato Ottolenghi, un giovane ebreo parigino veniva rapito, torturato per tre settimane, seviziato e ucciso, dopo che la banda aveva chiesto un riscatto alla famiglia basandosi solo sul presupposto che essendo ebreo doveva essere ricco.

Quello che si respira oggi in Europa è un clima di "odio", conclude Ottolenghi, che sembra aver «riassorbito tutti i vecchi stereotipi dell'antisemitismo classico, a prescindere dal conflitto arabo-israeliano, dai torti e dalle ragioni che arabi, palestinesi e israeliani condividono».

Ma cos'ha indotto il professor Ottolenghi a usare il termine "autodafé", evocando un'immagine così terribile e cruda per la memoria della cultura europea e cristiana? Dopo l'Olocausto, spiega, «l'antisemitismo è diventato un tabù». I non ebrei che osano esprimere i pregiudizi classici dell'antisemitismo, o mettere in dubbio la veridicità storica della Shoah, vengono sanzionati dalla riprovazione del mondo politico e intellettuale. Ma nel momento in cui è un autore ebreo a farlo, «non solo viene difeso, ma in certi spazi mediatici ciò che ha scritto e detto, essendo ebreo, diviene improvvisamente legittimo», a prescindere dalle prove e dagli argomenti addotti. In sostanza, «l'ebreo diventa l'alibi per il ritorno dell'accettabilità del pregiudizio».

E' essenziale però comprendere la differenza tra l'antisemitismo storico e quello attuale, perché se occorre avere il coraggio e l'onestà intellettuale per chiamare le cose per il loro nome, bisogna anche definirle e distinguerle concettualmente, conclude Ottolenghi. «Se l'Europa di oggi non è quella degli anni '30, tuttavia fenomeni di antisemitismo esistono e il fatto che diventino sempre più diffusi è indice di come un pregiudizio stia lentamente ridiventando accettabile, e di come certi sistemi immunitari che la nostra storia recente ha creato si stiano indebolendo. L'antisemitismo come archetipo del pregiudizio è un sintomo di un malessere del sistema democratico. Non riconoscere il pregiudizio per le nostre società significa muovere il primo passo verso un futuro meno libero, meno aperto e meno democratico».

3 comments:

Anonymous said...

Bravo Fede e Bravo Geppy!!
Avanti così!! ;)

Anonymous said...

oh, neanche a farlo apposta l'ho comprato oggi a pranzo 'sto libro :)

Anonymous said...

Non c'è molto da aggiungere. Se non sottolineare che questo nuovo subdolo antisemitismo è tutto da sinistra e fa parte del bagaglio di fregnacce del politically correct buonista e mistificatore che ha confuso le idee ai continentali europei.