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Tuesday, May 08, 2007

Cosa possiamo aspettarci da Sarkozy

Nicolas SarkozyAdesso che è alle spalle il "ciclone" Ségolène, che da "elefantessa" dell'establishment dal volto materno e rassicurante aveva puntato tutto sul "continuismo" e sul vecchio caro mito dello "Stato-balia", possiamo soffermarci a riflettere su cosa ci sia davvero da aspettarsi dal neopresidente Sarkozy. E' evidente, infatti, come non sia tutto oro ciò che luccica della sua "rupture tranquille".

Tra chi ha meglio inquadrato il profilo politico di Sarkozy c'è certamente Massimo Nava, autore del libro "Il francese di ferro".

Votando l'uomo della "rupture" i francesi «hanno premiato un progetto di rigenerazione del sistema-paese». Prima dei «cantieri delle riforme», Sarkozy ha già aperto quelli «della mentalità collettiva, piuttosto conservatrice, e della cultura politica della destra». Di lui si tende a enfatizzare il carattere da "primo poliziotto" di Francia e l'amico dell'America, ma è il suo profilo riformista il più promettente. «La sua è una destra di movimento, che mette sulle spalle della sinistra la resistenza ai cambiamenti e promette la "nuova frontiera" del successo individuale e della solidarietà», osserva Nava.

E' «un gollista geneticamente modificato». Ha individuato i problemi del paese che a causa dell'immobilismo chirachiano e socialista non sono stati affrontati: bassa occupazione e poche ore di lavoro. Quali rimedi? Più flessibilità del mercato del lavoro, welfare to work, meno tasse e riduzione del peso dello Stato. «Il modello che funziona è quello che dà un lavoro a tutti, non quello che generalizza i sussidi. Altrimenti perdiamo tutti: gli operai, le imprese, la Francia». Il lavoro contro l'assistenzialismo, quindi, il merito contro l'egualitarismo e il livellamento verso il basso, il valore dell'autorità contro la cultura lassista del '68, sono le sue parole d'ordine.

Ma Sarkozy non è certo un liberista, non vuole smantellare lo Stato sociale, a cui i francesi rimangono «aggrappati come le cozze agli scogli», ma modernizzarlo. Si definisce «un adepto del pragmatismo». Crede nelle libertà economiche, nel mercato e nel merito, ma «il mercato non dice tutto e non può tutto», avverte, e quindi vede con favore gli interventi dello Stato per salvaguardare le imprese nazionali. Nel discorso ai propri sostenitori dopo il primo turno ha adottato il linguaggio tipico della sinistra, promettendo di «proteggere» i lavoratori francesi dalla «concorrenza sleale dall'estero».

L'«uomo pericoloso per la democrazia», come è stato definito dalla sinistra d'Oltralpe e da qualche disinformato qui in Italia, «vuole mettere in pratica ciò che governi di destra e di sinistra hanno vanamente promesso: il ripristino della legalità, nella convinzione che la sicurezza sia un diritto, al pari di salute e scuola, che quando manca sono i più poveri e i più deboli a farne le spese». La stessa idea alla base del blairismo, che la forza della legge sia la prima forma di giustizia sociale. «Duri con il crimine, duri con le cause del crimine», fu uno dei primi slogan di Tony Blair.

Anche in politica estera gli elementi di rottura si confondono con quelli di continuità. Dovrebbe andare in soffitta la realpolitik chirachiana. L'appello lanciato da Sarkozy subito dopo la vittoria era quello che più aspettavamo, che da tanto tempo non giungeva dalla nazione culla dei diritti dell'uomo e che non avremmo sentito pronunciare da Madame Royal: «Voglio lanciare un appello a tutti coloro che nel mondo credono ai valori della tolleranza, della libertà, della democrazia e dell’umanesimo, a tutti coloro che sono perseguitati dalle tirannie e dalle dittature, a tutti i bambini e le donne martirizzati nel mondo voglio dire di essere certi che la Francia sarà al loro fianco. La Francia sarà dalla parte degli oppressi del mondo. E' il messaggio della Francia. E' l'identità della Francia. E' la storia della Francia».

Europeista da una vita, Sarkozy assicura di «credere nella costruzione europea». «Da questa sera la Francia è rientrata in Europa», ha annunciato appena eletto. Il suo progetto, che punta a un "trattato leggero" da approvare per via parlamentare, è il solo che può far ripartire l'Europa. La soluzione più rapida e pragmatica, mentre un nuovo trattato costituzionale significherebbe imporre ulteriori e più complessi processi di ratifica agli altri membri Ue e correre il rischio di un nuovo referendum, la cui sconfitta risulterebbe letale. L'altra faccia della medaglia del suo europeismo è il "patriottismo" economico. I partner europei sono avvertiti: non dovranno restare sordi alla «collera dei popoli che percepiscono l'Ue non come protezione, ma come cavallo di Troia di tutte le minacce che le trasformazioni del mondo portano nel loro seno».

Con Sarkozy all'Eliseo sarà netto il miglioramento dei rapporti tra Parigi e Washington, ma nel suo primo saluto dopo la vittoria il neopresidente ha ricordato che sarà un rapporto di "non sudditanza" e già individuato un tema di dissenso, invitando gli Stati Uniti a fare la loro parte nella lotta al riscaldamento globale. Un passo avanti rispetto ai bastoni di Chirac tra le ruote della strategia americana in Medio Oriente. Sarkozy ritiene la sicurezza d'Israele «non negoziabile»; «inammissibili e irresponsabili» gli interventi di Ahmadinejad che evocano la distruzione di Israele e negano la Shoah; e definisce «inaccettabile e pericoloso» che l'Iran si doti della bomba atomica.

Certamente con lui all'Eliseo si rafforza la contrarietà della Francia all'ingresso della Turchia nell'Ue, ma è di grande interesse il suo progetto di Unione Mediterranea, che faccia da trait-d'union tra Europa e Africa. Non la solita politica francese di rapporti bilaterali con i regimi africani in nome del passato legame coloniale, ma una sede di cooperazione multilaterale per le politiche d'immigrazione e per uno sviluppo finalmente legato alla democrazia.

Non farà passi indietro sul terreno delle libertà civili e della laicità dello Stato. «Grande rispetto del Papa e di ciò che rappresenta», ma «tenuto conto della separazione tra stato e chiesa, è imperativo che i politici francesi mantengano un certo riserbo in materia religiosa». Sarkozy non è a favore del matrimonio degli omosessuali, né dell'adozione da parte di coppie omosessuali, ma propone di andare ancora più in là dei Pacs e creare «un contratto d'unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie eterosessuali sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali». E al quotidiano Libération ha definito «scioccante la posizione della Chiesa, la quale dice che l'omosessualità è peccato: penso che anche la sessualità sia legata all'identità dell'individuo... Una persona non deve scegliere un'identità, ha l'identità che ha».

Persino Zapatero ha riconosicuto in Sarkozy un «politico capace», rappresentante di «una destra aperta e moderna». Ricco di spunti interessanti anche l'articolo di David Carretta, che parla di Sarkozy come "successore" di Mitterand.

Si può trarre una lezione per il ceto politico italiano dalla vittoria di Sarkozy in Francia? Certo, non negli improbabili paragoni tra Sarkozy e Berlusconi, o tra l'eventuale alleanza del partito di Bayrou con il Ps e il Partito democratico di Fassino e Rutelli.

La lezione sta nel saper scommettere sul cambiamento contro il rischio ben più pericoloso dell'immobilismo e del "continuismo". Nel cogliere l'opportunità di riformare se stessi a partire da una vittoria o da una sconfitta elettorale. Lavoro, pubblica amministrazione, tasse, pensioni, sono i terreni su cui la Royal ha perso meritatamente la sfida e che rendono incapace e perdente anche la sinistra italiana. Ma anche la destra ha molto da imparare da Sarkozy, che sui diritti civili è più avanti del nostro Partito democratico; che ha senso della legalità; e che ha un'idea della cittadinanza e dell'identità nazionale non legata al colore della pelle, al luogo di nascita, alle radici giudaico-cristiane, ma basata sui valori democratici e repubblicani: «La Francia a chi ama la Francia».

2 comments:

Anonymous said...

Sarkozy non è a favore del matrimonio degli omosessuali, né dell'adozione da parte di coppie omosessuali, ma propone di andare ancora più in là dei Pacs e creare «un contratto d'unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie eterosessuali sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali».

Infatti, questo dovrebbe essere il suo programma. Mi auguro, perciò, che nella compagine di governo non figuri una donna come Christine Boutin, capofila della lotta contro i Pacs nel 2000, data come possibile ministro. Sarebbe un ostacolo fortissimo all'avanzamento in materia di diritti civili, anche quello indicato da Sarkozy. Non ci resta che sperare.

Anonymous said...

comunque sia o sarà, sarkò resta, e purtroppo resterà, un miraggio per la nostra realtà italica...