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Thursday, May 10, 2007

Padoa-Schioppa sulla linea del Piave

Il binomio tasse-spesa pubblica tiene in piedi il regime

La riforma delle pensioni è «cruciale» per l'Italia, per la «sostenibilità» dei suoi conti pubblici. Il Fondo monetario internazionale interviene a gamba tesa nel dibattito del momento. «Anche perché in Europa l'Italia ha il tasso più alto di spesa pubblica rispetto al prodotto interno lordo», spiegano a Washington. E sembra il sostegno che ci voleva al ministro dell'Economia che sta mancando da parte del Governo nel confronto con Sindacati e sinistra massimalista.

Tommaso Padoa-Schioppa appare isolato nella trincea, comunque piuttosto arretrata. Se non c'è accordo entro giugno con i Sindacati, minaccia, allora rimangono vigenti le leggi Maroni e Dini: scalone (in pensione a 60 anni) e revisione dei coefficienti. Secondo il ministro, c'è l'occasione «formidabile di fare due cose: prevedere ammortizzatori sociali per i giovani e aumentare le pensioni minime».

E' una linea del Piave che il ministro sta difendendo, perché in Italia bisognerebbe andare in pensione a 65 anni (sia uomini che donne), abolire la cassa integrazione e creare finalmente un sistema universale di sussidi improntati ai dettami del welfare to work. Abbattere tasse e spesa pubblica.

Bisogna dare atto ad Emma Bonino di essere stata l'unico ministro a schierarsi apertamente con Padoa Schioppa (e ad essere tra i pochi in Italia ad aver capito come si governa la globalizzazione). Pur senza tirare troppo la corda per una riforma più coraggiosa (e dove sarebbe, ci chiediamo, «l'atteggiamento costruttivo dimostrato dai rappresentanti delle parti sociali»?), come forse sarebbe opportuno, in questa fase è politicamente importante stare con Padoa-Schioppa, quando neanche il presidente del Consiglio ha difeso il suo ministro dagli attacchi di queste ore. Negando, anzi, con la sua nota spudoratezza, che ci siano tensioni.

Sulle pensioni la posizione del Partito democratico (Ds e Margherita) è quella di non scegliere. Un po' come sui "Dico" e la laicità, si cerca di tenere il piede in due staffe, ma se le lezioni di Blair e Sarkozy valgono qualcosa, non decidere assumendosi le proprie responsabilità, non dare la risposta giusta ma una qualsiasi a giorni alterni, è il modo più sicuro per scendere sotto il 20% e perdere, perdere, perdere.

Chi parla chiaro è il "volenteroso" Nicola Rossi, che diffida dalla convinzione che «la politica avrebbe — il condizionale è d'obbligo — la capacità di selezionare e distinguere, di individuare le fattispecie meritevoli di un determinato intervento o, più in generale, di un trattamento specifico apparentemente dettato da principi di equità». Al contrario, «la capacità selettiva della politica è straordinariamente bassa innanzitutto perché spesso e volentieri essa semplicemente non dispone delle informazioni necessarie e, quando così non è, perché le pressioni cui la politica è soggetta trasformano facilmente le politiche selettive» in occasioni di favorire le proprie clientele e le posizioni di rendita. Per questo, anche Rossi auspica nello stato sociale «il passaggio dalle politiche selettive alle politiche universali: poche regole chiare e uguali per tutti».

Ma a fronte di un Governo intervista su tutto, che altera le dimaniche di mercato e gli assetti proprietari, c'è un Governo che non interviene su ciò che gli compete: la riforma delle pensioni, come osservava l'altra settimana Dario Di Vico.

Né mancano le spinte, all'interno del Governo, come quelle del ministro Ferrero, a spendere i soldi del "tesoretto" nella mitica redistribuzione, per poi intervenire di nuovo sui conti con una manovra correttiva di fine anno. Parliamoci chiaro: questo Governo ha fatto una Finanziaria di decine di miliardi di euro e si è ritrovato con un "tesoretto" insperato. Non si faranno sfuggire l'occasione di spendere tutti questi soldi. Non in pochi grandi e mirati progetti di sviluppo, ma disperdendoli nei mille rivoli dell'assistenzialismo, all'unico scopo di consolidare il proprio potere. «Ma se il governo vuole davvero sfruttare il vento della ripresa e magari risalire nei sondaggi ha davanti a sé una strada obbligata: tagliare la spesa e le tasse. Ripresentarsi agli italiani chiedendo di metter mano nuovamente al portafoglio equivarrebbe a un suicidio», conclude Di Vico.

Il binomio tasse-spesa pubblica in Italia è la principale fonte di sostentamento del regime oligarchico. E il miglior modo di combatterlo è "affamare la bestia". Qualche giorno fa ce lo ricordava Piero Ostellino: «La spesa pubblica oltre il 50 per cento del Pil è il luogo dove si sperpera in inefficienze e sprechi la ricchezza nazionale; dove prospera il parassitismo. E' la riserva di caccia delle oligarchie politiche al governo che su di essa mettono le proprie mani. L'elevata pressione fiscale è lo strumento di dominio di tali oligarchie. E' lo Stato etico che pretende di saper disporre dei soldi del cittadino meglio di quanto non saprebbe lui stesso. Spesa pubblica e pressione fiscale elevate non sono la democrazia. Sono la prova del suo fallimento».

1 comment:

Anonymous said...

Articolo condivisibilissimo, come è ovvio tra quasi tutti i lettori di questo blog.

Ma è fin troppo ovvio e ripetitivo (detto con simpatia).

Qual è la conclusione?
insomma, CHE FARE?

Di più: i leader politici nostrani, vecchi o meno vecchi che sembrino, sono tutti quanti figli di quel pervasivo regime oligarchico-clientelare autoreferenziale che si è fatto casta, carriera e mestiere.

Perciò, non solo CHE FARE?
ma anche CHI DOVREBBE FARE?

E queste domande andrebbero rivolte anche ad Ostellino e DiVico, a Panebianco e Stella, a Romano e Giannino ed a quanti altri si esercitano tra il vacuo-rassegnato e il vano-indignato, tra il pedagogico-compiaciuto alla DeMarchi ed il maieutico-velleitario alla Tombolini, oltre che al buon Jimmomo ed agli altri frustrati bloggers della libertà.

Sennò, gli editoriali dei primi restano solo...
prese per il culo,

e quelle dei bloggers solo... quattro chiacchiere sul web.