Ma non chiamatele rendite!
Di ritorno dalle vacanze gli italiani sono abituati alle cattive notizie. Ebbene, il sottosegretario all'economia ci ricorda che il governo darà seguito in sede di Legge Finanziaria all'intenzione di aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie, portando l'aliquota dal 12,5 al 20%. Ora, d'accordo che in Italia, a differenza che in altri paesi dal capitalismo più maturo, i ceti medi investono poco i loro risparmi in azioni. Tuttavia, tra chi investe in borsa e i molti di più nei titoli di Stato, come i Bot, sui quali vorrebbe accanirsi il Governo Prodi, è il risparmio, non la rendita, ad essere colpito.
Investire in borsa significa per un piccolo risparmiatore partecipare allo sviluppo dell'economia e vedere nel lungo periodo guadagni superiori all'inflazione. Ma non si tratta di una rendita, poiché l'investimento in azioni o titoli di Stato presenta comunque dei rischi dal punto di vista soggettivo, anche se il valore delle borse mediamente tende a salire.
I radicali (non quelli di Torre Argentina) alzano la voce: Capezzone parla di «aggressione contro famiglie e piccoli risparmiatori» e di «dissennato jihad fiscale». Benedetto Della Vedova ha calcolato in «5 miliardi» di euro il prelievo annuo dello Stato «dalle tasche dei risparmiatori, per finanziare ulteriori aumenti di spesa pubblica».
Giusto ieri il governo della Repubblica ceca, guidato da Mirek Topolanek, è riuscito a far approvare alla Camera una riforma della finanza pubblica che prevede, tra le altre misure, la flat tax al 15% dal 2008 (e al 12,5% dal 2009) per le persone fisiche e al 19% entro il 2010 per le aziende.
La flat tax è possibile anche in Italia, secondo Decidere.net (che su questo ha in programma un appuntamento a Milano il 29 settembre), con una decisa riduzione della spesa pubblica.
Tasse e democrazia
Sollevare la questione fiscale non è demagogia. Anzi, possiamo affermare che le tasse sono al centro del rapporto tra Stato e cittadini. Discutere di quanti soldi lo Stato debba chiedere ai cittadini e di come spenderli è il cuore della politica. Guai se i cittadini non fossero sospettosi e riluttanti all'idea di pagare di più.
Un carico fiscale e una spesa pubblica eccessivi costituiscono minacce aperte alla democrazia. Quando l'invadenza dello Stato soffoca e si sostuisce all'iniziativa privata, gli individui perdono a popo a poco spazi di libertà e possibilità di migliorare il loro status socio-economico, perché le risorse prodotte dalla comunità vengono drenate e redistribuite a vantaggio di specifiche categorie, caste, clientele. Attraverso l'espressione del loro dissenso o forme di diretta resistenza fiscale, semplicemente difendendo ciascuno le proprie tasche, i cittadini esercitano un essenziale potere di controllo democratico.
Cos'è, in fondo, come nasce, la democrazia, se non come una forma di governo in cui il popolo attraverso i propri rappresentanti può finalmente decidere quante tasse pagare e controllare come vengono spese?
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