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Sunday, August 12, 2007

Il partito della responsabilità e del merito

L'argomento principe di tutte le ipotesi di rifare la Dc - sogno che da sempre inseguono l'Udc di Casini, l'Udeur di Mastella e altre schegge del mondo cattolico, è il «postulato secondo cui più si è moderati e più si è riformisti, meno si è moderati e più si è ostili alle riforme». Peccato che sia un'affermazione falsa, spiega oggi Luca Ricolfi su La Stampa.

L'immobilismo della politica italiana, che non riesce a dare al paese le risposte che servono in termini di riforme, è senz'altro dovuto ai diversi fattori di blocco rappresentati all'interno di ciascuna delle due coalizioni da partiti estremisti che esercitano un forte potere di ricatto. Tuttavia, la soluzione non va cercata in un partito moderato di centro che faccia da ago della bilancia, cioè restringendo nelle mani di un solo partito tutto il potere di ricatto.

«Se per riforme non intendiamo, semplicemente, senso delle istituzioni e rispetto dell'avversario, ma il coraggio di fare scelte difficili, talora impopolari, in materia di spesa pubblica, mercato del lavoro, grandi opere, federalismo fiscale, liberalizzazioni, pari opportunità, legalità, meritocrazia - insomma tutto quel che serve per rendere il nostro Paese più moderno e più giusto - non possiamo non vedere che questa attitudine politica nulla ha a che fare con l'essere di destra o di sinistra, ma nemmeno con l'essere centristi o estremisti, moderati o radicali. Il nemico numero uno delle riforme scongelatrici del sistema non è il radicalismo in quanto tale ma - semmai - il "partito della spesa" che teme il mercato, detesta il merito e crede che il compito centrale dell'azione politica non sia di far funzionare le istituzioni, eliminare gli sprechi, lasciare l'ossigeno ai produttori di ricchezza ma, tutto al contrario, sia quello di far affluire "risorse" ai propri protetti».

Infatti, non è che l'Udc o l'Udeur si siano particolarmente distinti per coraggio riformatore, su Alitalia, o quando gli statali pretendono più soldi e i forestali della Calabria il posto fisso, o quando le proprie clientele reclamano "risorse". Adesso pare che dopo averle ostacolate per un quinquennio di governo, l'Udc sia favorevole alle liberalizzazioni. Eppure, Ricolfi cita un'inchiesta di Franco Bechis secondo la quale a due terzi della legislatura scorsa, le proposte di legge dell'Udc, se approvate, «sarebbero costate alle casse pubbliche la bellezza di 58 miliardi di euro». Eppure, il federalismo fiscale e le liberalizzazioni (la cosiddetta agenda Giavazzi), osserva, «sono difese innanzitutto da partiti tutt'altro che moderati, come la Lega e i Radicali».

Purtroppo «l'attitudine a sperperare denaro pubblico e la connessa disattenzione per i ceti produttivi» accomuna post-comunisti, ex fascisti e neo-democristiani. «Se di qualcosa di nuovo ha bisogno l'Italia, non è di una nuova Dc, ma nemmeno di operazioni (per ora) puramente cosmetiche come il nascente Partito democratico (Ds più Margherita) o la probabile "risposta" del nascituro Partito della libertà (Forza Italia più An). Il primo guaio dell'Italia non è il potere di veto dei partiti estremisti, ma è la mancanza di chiarezza e di coraggio dei grandi partiti che hanno la responsabilità di guidare il Paese», ma che «non hanno voluto prendersi i propri rischi».

Il guaio è che in Italia siamo convinti che l'identità di un partito sia determinata dal suo nome, dalla tradizione politico-culturale cui si richiama (spesso abusivamente), da concetti astratti come autorità, libertà, giustizia o solidarietà, e più ne ha di altisonanti più ne metta.

Quindi, definire un partito di "centro", "moderato", e richiamarsi ai valori "cattolici", sembra sufficiente per poter attrarre i voti al centro dell'elettorato. Ma quando si dice che le elezioni ormai, nelle democrazie post-ideologiche, si vincono "al centro", non s'intende un luogo, un posizionamento fisico tra due coalizioni, tra due ali estreme, o tra tutti i partiti, per cui le forze politiche fanno a spallatte, fanno esercizi di equilibrismo per farsi vedere posizionati più al centro degli altri, nel senso di "in mezzo".

L'identità di un partito si definisce per le cose che propone di fare al governo del paese. Questo i promotori del Partito democratico, e chi li critica in nome di un non meglio precisato socialismo, come Macaluso e gli autoconvocati di Bertinoro, sembrano ancora non averlo capito, o gli fa comodo fingere per coprire il loro vuoto culturale e progettuale.

Le elezioni si vincono "al centro", ma possono vincerle anche partiti posizionati a destra o a sinistra lungo lo spettro delle forze rappresentate in Parlamento. A patto che si dimostrino capaci di riconoscere il valore sociale della responsabilità individuale e della ricerca del successo personale come migliori strumenti del successo collettivo della nazione, e di decidere e governare rispondendo alle esigenze dei ceti medi e produttivi, di quel centro pragmatico dell'elettorato per il quale non importa definire se una politica sia "di destra" o "di sinistra", basta che funzioni, che generi benessere e dinamismo. Blair, da sinistra, è stato in grado di farlo senza appoggiarsi a partiti di centro, e poco importa sapere se sia socialista o meno. Di certo non è stato moderato.

Il nostro problema, conclude Ricolfi, è che «sia a destra che a sinistra il partito della spesa è più forte del partito del mercato, sia a destra che a sinistra il merito e la responsabilità individuale non contano, sia a destra che a sinistra l'imperativo categorico non è fare le riforme ma impedire agli altri di governare, o di tornare al governo. Come molti italiani, neanch'io credo che il nostro Paese abbia bisogno di un ennesimo partito. Ma se c'è un partito che manca, nel firmamento della politica italiana, non è il partito dei moderati ma, semmai, il partito della responsabilità e del merito. Un partito che non c'è, che probabilmente non ci sarà mai, ma che - se ci fosse - sarebbe radicale. Molto radicale».

3 comments:

Anonymous said...

Un partito che non c'è, che probabilmente non ci sarà mai...

che sicuramente non ci sarà mai!

Anonymous said...

i commenti di egidio sterpa sono molto calzanti.
è una crisi che viene da lontano.
e per rimettere il paese sulla retta via ci vorranno altri 40 anni.

Anonymous said...

Per quello che vale:
http://www.indicius.it/Politica/furbetti_parlamentino.htm