L'abbiamo scritto più volte. E più autorevolmente in questi anni Francesco Giavazzi, che oggi ci ritorna.
Osserva che «l'aumento delle pensioni minime ha favorito solo in piccola parte i veri poveri», perché secondo uno studio su lavoce.info «la quota principale dei soldi stanziati andrà alle famiglie dei lavoratori tipicamente iscritti ai sindacati, gli stessi che hanno beneficiato più di altri dell'abbassamento, da 60 a 58 anni, dell'età minima per andare in pensione con 35 anni di contributi».
«Anche l'abbassamento dell'età minima per andare in pensione è stato pagato dai meno fortunati. Nel prossimo decennio costerà circa 10 miliardi di euro. Di questi, quasi la metà verranno da un aumento dei contributi (fino a 3 punti di aliquota in più) dei parasubordinati, cioè tassando i "precari", che sono i lavoratori meno protetti. A pensarci bene questi effetti non sono sorprendenti: al tavolo delle trattative sul welfare sedevano i sindacati, non rappresentanti dei poveri, né dei giovani precari».
E qui occorre tornare sul problema della rigidità del mercato del lavoro. «Il maggior ostacolo che questi giovani (ma anche molti purtroppo non più giovani) hanno di fronte a sé è la rigidità dei contratti a tempo indeterminato, in particolare il fatto che licenziare un lavoratore con un posto fisso è spesso impossibile... Per evitare questo rischio le aziende (sia private che pubbliche) tendono a offrire contratti a tempo determinato... L'assunzione a tempo indeterminato è troppo rischiosa per il datore di lavoro e così i precari rimangono tali per sempre».
La precarietà non si sconfigge abolendo con un tratto di penna le figure contrattuali introdotte dalle leggi Treu e Biagi, ma spalmando su tutti i lavoratori la flessibilità e la mobilità richieste da un'economia mutata profondamente da quando, ormai oltre trent'anni fa, fu regolato il mercato del lavoro con lo Statuto dei lavoratori. Se il posto fisso continua a esistere per chi è dentro e super-protetto, spesso anche se improduttivo, chi deve entrare non solo non avrà mai un posto fisso, ma nulla di decente né per durata né per compensi.
La sinistra invece «continua a porre una condizione irrinunciabile: tutti i precari vengano regolarizzati, cioè diventino lavoratori permanenti. In questo modo si ritornerebbe al sistema in vigore prima delle norme Treu e Biagi, quando c'era un solo tipo di contratto, quello a tempo indeterminato. L'effetto sarebbe di riportare la disoccupazione oltre il 10%, come accadeva prima dell'introduzione dei contratti a tempo determinato». Da quando in Europa si sono compiuti dei passi per liberalizzare il mercato del lavoro, l'occupazione è salita.
Il modello «più efficace» per Giavazzi è ancora quello danese: «nessun vincolo ai licenziamenti (tranne in casi di evidente discriminazione del lavoratore) e forte protezione di chi è temporaneamente senza lavoro... trasformando le tutele che un tempo si applicavano al posto di lavoro in tutele al lavoratore». Ma una soluzione «interessante» si sta studiando in Francia: «Abolire sia i contratti a tempo determinato che quelli a tempo indeterminato e sostituirli con un contratto unico che offra garanzie crescenti nel tempo: tutti precari all'inizio, ma tutti con la prospettiva di divenire dipendenti via via più stabili se il rapporto tra lavoratore e impresa funziona».
In ogni caso, la ricetta è quella liberale: più libertà per rendere più equa la condizione dei precari di oggi rispetto ai super-protetti.
2 comments:
Resto dell'opinione che più Libertà individuale significhi SEMPRE più Responsabilità individuale.
E' per questo che sto riflettendo su tante idee e proposte cosiddette libertarie in tema di diritti civili che, belle in teoria, hanno poi l'impatto pratico, quotidiano, di ottenere meno responsabilità e più lassismo civile.
Chissà, ne riparleremo?
Occupazione? Legge Biagi?
Non voglio dilungarmi troppo, essendomi già espresso sul mio blog e su BlogGoverno a più riprese; ti linko direttamente il mio ultimo post:
Treu-Biagi: oggi vince la riforma del 2003. Le modifiche future? Probabilmente solo ideologiche e nessuna centrarà il vero bersaglio.
Un po' drastico forse, ma questo è quanto porto nel mio breve bagaglio culturale e professionale. Almeno oggi la penso così.
Rimango comunque dell'idea che il Co.Co.Co. fosse più adatto del Co.Pro. per determinate figure professionali cui non può applicarsi alcun progetto per il tipo di mansioni svolte, ma rimango convinto che sia lodevole aver tentato di assestare il mercato cercando di applicare un contratto "precario" (comunemente considerato) laddove via sia un progetto piuttosto che a chiunque senza distinzione.
Il problema rimane l'abuso, adesso come prima.
Ecco perché credo che il bersaglio sia un altro (vedi post linkato).
Ah, tutto ciò ferma restando l'assurdità giuridica del Job sharing e l'inadeguatezza del Job on call... Ma questo è un altro paio di maniche ;)
Saluti,
Luca
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