L'Europa mugugna ma non decide. Eppure potrebbe fare molto
Bella figura a costo zero. Di questo è capace il nostro premier. In Iran si continua a impiccare (dall'inizio dell'anno 149 condanne eseguite, secondo notizie di stampa e testimonianze), ma noi possiamo consolarci: il nostro governo sa ancora indignarsi.
Alla Farnesina, che attenendosi semplicemente alla linea concordata in sede Ue aveva espresso nei giorni scorsi «forte inquietudine italiana» per la nuova raffica di esecuzioni ordinate da Teheran, aveva risposto infastidito un portavoce degli Esteri iraniano accusandoci di «interferenza» nei loro affari interni. Giungeva così la replica di Prodi: «La nostra posizione è chiara e abbiamo diritto di esprimerla. Siamo contrari alla pena di morte e insistiamo sulla moratoria».
A rischio le buone relazioni con l'Iran? Neanche per idea. Il premier si dice sicuro di no: «Di fronte a problemi così chiari, espressi tante volte dal nostro governo, mi sembra fuori luogo ritenerli una novità. È la nostra linea politica». Linea coraggiosa? No, perché la moratoria Onu, ammesso che venga approvata, non impedirà all'Iran di continuare ad assassinare e a torturarte il proprio popolo. A fronte dell'indignazione italiana ed europea non c'è alcun atto concreto di pressione nei confronti di Teheran.
Proteste «benvenute, ma tardive e modeste», sottolinea oggi Emanuele Ottolenghi su Libero: «Se i diritti umani in Iran stanno davvero a cuore all'Europa, i mezzi non mancano per dar peso politico alle condanne. Ma forse l'interesse economico europeo farà sì che queste cadano nel nulla».
L'opinione pubblica non merita di essere ingannata. La Repubblica islamica viola da sempre i diritti umani in modo sistematico e brutale: gli oppositori (politici, sindacalisti, giornalisti, intellettuali) spariscono, o vengono torturati e uccisi, così come gli omosessuali e le adultere. E' al mondo il paese che mette a morte più minori e donne. Si sospetta anche una politica di pulizia etnica nelle zone non persiane.
A fronte di tutto questo, l'Europa rimane il primo partner commerciale dell'Iran degli ayatollah: il 41% di tutte le importazioni iraniane vengono da paesi europei e l'Europa è il primo mercato per i prodotti iraniani. L'Italia, in particolare, è il secondo esportatore europeo dopo la Germania. E in Iran non finiscono solo beni di consumo, ma anche tecnologia, infrastrutture e crediti bancari che rafforzano solo il regime.
«Se solo l'Europa - conclude Ottolenghi - interrompese la fornitura di pezzi di ricambio all'industria iraniana potrebbe mettere in ginocchio il regime». Quanto meno, dunque, è lecito attendersi che questa dipendenza commerciale venga non tanto interrotta, ma almeno usata come arma di pressione».
E' in corso attualmente in Iran, ha scritto Amir Taheri sul Wall Street Journal, «la più grande ondata di esecuzioni dal 1984»: circa 118 persone uccise nelle ultime sei settimane e almeno 150 lo saranno nelle prossime, ma non tutte le condanne vengono eseguite in pubblico, soprattutto quelle degli oppositori e degli esponenti delle minoranze etniche. Si tratta di «una campagna per terrorizzare una popolazione sempre più recalcitrante», per «neutralizzare leader sindacali, studenti attivisti, giornalisti e anche mullah che si oppongono al regime».
Le esecuzioni sono state accompagnate da ondate di arresti. Da aprile quasi mezzo milione di persone per accuse relative a sostanze stupefacenti; quasi un milione tra uomini e donne, secondo dati forniti da Ismail Muqaddam, comandante della polizia islamica, per aver violato il nuovo codice di abbigliamento. Per la maggior parte di loro si è trattato di un «avvertimento», sono usciti dopo poche ore, ma circa 40 mila sono rimasti dietro le sbarre. Sei mila tra uomini e donne sono in carcere per promiscuità sessuale al di fuori del matrimonio, ha fatto sapere il generale della polizia Hussein Zulfiqari.
I penitenziari scoppiano (150 mila reclusi a fronte di una capienza di 50 mila). Ma Ahmadinejad ha ordinato la conversione in prigioni di 41 uffici pubblici e la costruzione di 33 nuovi istituti. Poi ci sono le prigioni non ufficiali delle Guardie rivoluzionarie islamiche, sotto il diretto controllo della "Guida Suprema", Ali Khamenei, per gli oppositori più pericolosi.
Il regime, ci fa sapere Taheri, «teme soprattutto i movimenti sindacali, che negli ultimi 4 mesi hanno organizzato 12 scioperi e 47 dimostrazioni in varie parti del paese». La repressione sui manifestanti e sui sindacalisti è brutale, e va dal licenziamento all'uccisione. Così come è in atto «la più grande purga nelle università dalla Rivoluzione islamica nel 1980»: arresti, espulsioni, libri di testo riscritti, lettori e presidi licenziati. Sono stati ovviamente moltiplicati gli sforzi per «tagliare fuori gli iraniani dalle fonti di informazione all'esterno del paese»: migliaia di siti bloccati, raddoppiati gli autori e i libri proibiti. Dallo scorso aprile 30 tra quotidiani e riviste sono stati chiusi. Almeno 17 giornalisti sono in prigione, due già condannati a morte.
La versione ufficiale del regime è che la Repubblica iraniana è sotto l'attacco di complotti interni ed esterni, ma «la verità - conclude Taheri - è che di fronte al crescente malcontento popolare, la cricca khomeinista è vulnerabile ed estremamente preoccupata». Chissà che iniziando finalmente a sostenere dall'esterno questi movimenti di opposizione popolare l'Occidente non possa assestare quella spallata decisiva per far cadere uno dei più orribili regimi fascisti rimasti sulla faccia della terra.
1 comment:
Ma che vai a pensare? Non l'hai sentita l'europea Bonino?
Il neoRealismo radicale...
che nemmeno Sergio Romano....
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