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Friday, April 27, 2007

Blair, il successo di un governo liberale della globalizzazione

Tony BlairBlair è forse il primo leader occidentale, certamente il primo europeo, ad aver saputo governare in senso liberale la globalizzazione. «Non equidistribuire la povertà, ma amministrare quote crescenti di ricchezza», è un obiettivo che faceva già parte della tradizione politica del laburismo britannico, e l'idea di welfare liberale di Beveridge e Bevin era lontana anni luce dallo stato sociale all'italiana, quello ormai definito in scienza politica «particolaristico-clientelare».

Quella tradizione Blair l'ha saputa risollevare ponendo fine alla deriva socialista e sindacalista del suo partito, e calare nella realtà economica e sociale, e globale, dei nostri giorni. La sinistra italiana sembra muoversi ignorando Blair e il blairismo, come se non fossero mai esistiti. Appartengono a una sorta di cattiva coscienza che la insegue. L'impressione è che finché la sinistra italiana non supererà i suoi problemi con il blairismo non saprà essere all'altezza delle sfide del mondo di oggi, in campo economico e in politica estera, come sulla sicurezza e sulle libertà civili.

In una bella intervista Timothy Garton Ash si rivolge a un Tony Blair prossimo al ritiro, che sembra guardare da sotto un portico con una tazza di tè in mano il proprio "tramonto politico". Tempo di bilanci. Nelle democrazie i grandi leader non se ne vanno nel sangue.

Al di là del merito, non si può certo dire che la politica estera di Blair sia stata priva di contenuto. In politica estera Blair ha sostenuto un'idea, una visione. «Va fiero di aver sviluppato un approccio strategico alla politica estera britannica basato su un insieme di hard e soft power, e su forti alleanze sia con l'Europa che con gli Stati Uniti». La comunità di democrazie, dice guardando al futuro, è una buona idea, ma in termini politici pratici «si costruisce partendo dall'alleanza europea-americana».

Ma qual è, gli chiede Garton Ash, «l'essenza del blairismo» in politica estera? La sua risposta non potrebbe essere più chiara: «E' l'interventismo liberale». «Sono un'interventista e ne vado fiero». Non sconfesserebbe mai il suo discorso di Chicago del 1999, la tesi liberale e interventista della "dottrina della comunità internazionale".

Per quanto riguarda la politica interna è Anthony Giddens a tracciare un bilancio. E lo fa paragonando i risultati conseguiti di Blair con le miserie politiche di altri primi ministri progressisti europei. Nella Gran Bretagna di Blair «l'economia è in crescita da un decennio e continua a espandersi. L'occupazione è ai livelli più alti d'Europa. Inflazione e altri indicatori economici sono sotto controllo o positivi. Milioni di persone sono uscite dal livello di povertà... grossi investimenti nel settore pubblico: il servizio sanitario nazionale è significativamente progredito, i finanziamenti per l'istruzione statale sono stati utili, le infrastrutture pubbliche nel complesso hanno ricevuto la più sostanziosa iniezione di fondi...»

Da leader di sinistra ha inoltre saputo affrontare «senza mezzi termini» i problemi dell'ordine pubblico e dell'immigrazione, temi che le altre sinistre europee hanno grandi difficoltà a trattare. Importanti anche le riforme costituzionali: la "devolution" in Galles, in Scozia e in Irlanda del Nord; l'elezione diretta dei sindaci nelle città; la fine dei seggi ereditari alla Camera dei Lord; la legge sulla "partnership civile" per gli omosessuali; l'indipendenza della Corte Suprema.

Insomma, non si vincono per caso tre elezioni consecutive. Quelle vittorie sono «una conferma della validità» del blairismo e un «incitamento a proseguire su questa strada».

Mentre Parigi, Berlino e Roma arrancano distaccate di parecchie lunghezze, Londra è oggi la capitale d'Europa. Con Blair «la Gran Bretagna è diventata, a dispetto di qualche problema, la società multietnica meglio integrata d'Europa: una nazione cosmopolita, arricchita dalla diversità culturale, vibrante, piena di energia. Il merito ovviamente non è solo del primo ministro, ma Blair ha ben rappresentato questa prodigiosa evoluzione: ne incarna il volto e il simbolo. Il Tony Blair che ora lascia il potere è, anche per questo, una figura globale: cosa che, dalla seconda guerra mondiale in poi, era riuscita soltanto alla Thatcher fra i leader britannici».

1 comment:

Anonymous said...

Fui, ero e sono e sarò ancora blairiano. Ma non mi faccio, nè più mi farò, illusioni per quanto riguarda la possibilità di trasferire almeno qualcosa di blairiano nel nostro paese.

Basta guardarsi intorno nella vita di ogni giorno e guardare a ciò che fanno e preparano i politici che dovrebbero guidare il paese.

Blair rimarrà il sogno di una piccolissima quota di una generazione fregata.