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Saturday, May 26, 2007

Contro le caste si sveglia l'Italia degli outsider

Lucida analisi di Luca Ricolfi, su La Stampa di oggi: lo spettro del 1992 aleggia sui partiti e i politici sentono scottare la terra sotto i piedi. La stampa «ha messo nel mirino i costi della politica»; da Confindustria arrivano strigliate; i sondaggi confermano lo scontento, bipartisan, dei cittadini.

Tuttavia, osserva Ricolfi, nel '92 c'era «un doppio "tigre nel motore", che oggi sembra invece assente». Innanzitutto, la magistratura, che però oggi può poco, perché «il ceto politico, pur continuando a delinquere più o meno episodicamente, ha costruito un'impressionante rete di strumenti legali per autofinanziarsi e perpetuare la sua occupazione della Pubblica amministrazione» ("Il costo della democrazia", di Salvi e Villone, Mondadori, 2005).

Poi, l'economia: allora arrivò «un singolo e istantaneo schiaffone (il crollo della lira), mentre oggi affondiamo abbastanza lentamente da permetterci di non percepire quel che sta capitando».

Eppure, oggi nell'opinione pubblica ci sono una forza e una consapevolezza maggiori. Non più solo il disgusto, la sfiducia, l'indignazione per gli sprechi, le incapacità e i privilegi del ceto politico. Si percepisce che a pesare sono «non solo le (costose) degenerazioni ma anche le (costosissime) non-decisioni». I cittadini «cominciano a capire che l'inconcludenza dei politici ha dei costi, dei costi diffusi ed enormi», e produce ingiustizie. Una sensazione che si sta «condensando» sempre più: «La gente, poco per volta ma inesorabilmente, si sta rendendo conto che l'immobilismo del ceto politico sta alimentando un mare di ingiustizie, che però la politica non ha occhiali per vedere. Ingiustizie che non riguardano solo "la casta", ma tutte le caste».
«Chi fa tutti i giorni il proprio dovere, ma non ha una rete di relazioni che lo sostiene e lo protegge, si accorge sempre più sovente che il gioco è truccato. Che non c'è rapporto fra i sacrifici, lo sforzo, la dedizione e i risultati che si ottengono. Che accanto alle grandi diseguaglianze storiche, da sempre centrali nei discorsi della sinistra, si è formata in questi anni una selva di micro-diseguaglianze di fronte alle quali quasi tutte le forze politiche maggiori sono sostanzialmente cieche, sorde e mute».
Disuguaglianze che hanno tutte una comune origine in un «tragico deficit di meritocrazia», sia a livello individuale che di istituzioni.
«Al lavoratore precario che tira la carretta negli uffici pubblici non fa piacere scoprire che la persona che è chiamato a sostituire guadagna dieci volte di più, produce dieci volte di meno ed è inamovibile qualsiasi cosa faccia o non faccia. Ai governatori delle regioni virtuose, che hanno bene amministrato la sanità, non fa piacere scoprire che non ci sono né veri premi per chi ha ben operato né vere punizioni per chi ha lasciato bilanci in rosso per miliardi di euro. Agli studenti che vorrebbero ricevere un'istruzione universitaria decente e non hanno i mezzi per studiare all'estero non fa piacere vedere i figli dei ricchi che vengono spediti negli Stati Uniti o sistemati nelle aziende di famiglia. Ai cittadini che rispettano le leggi non piace accorgersi che i furbi e i delinquenti quasi sempre riescono a farla franca. Agli immigrati onesti, che lavorano, pagano le tasse e rispettano le regole, non piace essere guardati con sospetto perché una minoranza di stranieri può spadroneggiare in interi quartieri delle nostre città».
Insomma, in molti si stanno rendendo conto che «fino a un certo punto livellare le differenze produce eguaglianza, ma oltre quel punto produce nuove e più profonde disuguaglianze», più odiose. E in Italia «quel punto di non ritorno, oltre il quale l'egualitarismo diventa generatore di ingiustizie, è ormai da lungo tempo stato attraversato».

La sinistra è in ritardo nel capire tutto questo e «le sue organizzazioni - partiti e sindacati - sono divenute delle grandi e inconsapevoli macchine per produrre disuguaglianza».

«Se non c'è merito, allora c'è solo censo, clientela, amicizie, affiliazione», avverte il "volenteroso" Nicola Rossi. Il merito è il più democratico, il più liberale, e il più rispettoso dell'individuo, tra i fattori di disuguaglianza, posto che le disuguaglianze, intese come differenze non inique, sono un dato ineliminabile nelle società umane e che compito dello Stato è favorire opportunità di partenza il più possibile uguali, non livellare verso il basso all'arrivo.

4 comments:

Anonymous said...

Bel contributo, Jim!

Ma io non riesco ancora a vedere la via d'uscita da queste sabbie mobili...

mi auguro che non sia la magistratura a doversene occupare, perchè essa stessa è parte del gioco...

la normalità democratica vorrebbe che fosse il voto dei cittadini consapevoli a dirimere la questione...

ma quanti sono i consapevoli?
quanti sono i non manipolabili?

anche io, volenteroso outsider da sempre, che consapevole credevo d'essere, mi sono lasciato letteralmente incantare...

La vedo davvero dura. Non credo che questo Paese abbia in sè la capacità di cambiare.
Credo che stavolta ci serva un aiuto da fuori.
Si chiami improbabile crollo finanziario o qualcosa d'altro...

Ma di certo: NO al Montezemolismo di Casini e Veltroni!!!

Anonymous said...

però, cazzo...una cosa c'è da dire...io ho 41 anni e ho sempre sentito le solite "analisi".

ma i fatti?

e non parlo di chi esagera con le sostanze additive...

forse perché con la pancia piena...le rivoluzioni...di fatto...non le fa più nessuno.

di nome...hai voglia di rivoluzionari!

anche "liberali"...

figuriamoci...mortimerzemolo...ha riesumato pure la borghesia!

!!!


ciao.


io ero tzunami...

Anonymous said...

http://www.forzaitalia.it/
notizie/arc_10314.htm

Anonymous said...

ma dopo la bufala credibile del declino imminente, non sarà pure questa della casta cattiva e della buona borghesia soltanto un'altra bufala antiberlusconiana?