E' vero che Obama si è detto contrario a fissare ultimatum e scadenze nel dialogo con Teheran sul nucleare, ma di fatto una linea rossa l'ha tracciata, spiegando che intende capire «entro la fine dell'anno» se l'Iran sta compiendo «uno sforzo sincero per appianare le divergenze» e se i colloqui «stanno iniziando a produrre o meno benefici effettivi». Obama pensa quindi a una finestra di dialogo tra giugno, dopo le elezioni presidenziali iraniane, e la fine dell'anno, entro cui dovranno vedersi «gesti concreti da parte degli iraniani». «Non prolungheremo i colloqui per sempre», ha comunque assicurato al premier israeliano, riconoscendo che i progressi diplomatici devono verificarsi entro quest'anno.
La cattiva notizia - ma non poteva essere altrimenti in un momento di apertura al dialogo - è che Obama, pur non escludendo una «serie di misure» contro l'Iran, ha citato solo le sanzioni come ipotesi peggiore, e nemmeno indirettamente, nemmeno come ultima risorsa, il ricorso all'uso della forza. Netanyahu da parte sua ha spiegato a Obama che «non vi è mai stato un momento come questo in cui israeliani e arabi vedono una minaccia comune» nelle ambizioni egemoniche di Teheran. Ha pienamente ragione e a mio avviso è un elemento da non sottovalutare. Questa inedita convergenza di interessi tra arabi e israeliani dovrebbe essere un'opportunità da sfruttare fino in fondo per il processo di pace.
Dai colloqui abbiamo avuto anche l'ennesima conferma del fatto che il governo israeliano rifiuta di farsi coinvolgere nella retorica della "soluzione a due-stati". Una formula che rischia di svuotarsi di ogni possibilità concreta di pace se serve a coprire una realtà in cui continuano le minacce all'esistenza di Israele a dispetto delle sue concessioni territoriali. Ciò non significa che il governo Netanyahu sia contrario all'autogoverno dei palestinesi o, in prospettiva, alla creazione di uno stato palestinese, ma che ora non pronunciando l'espressione "due-stati-per-due-popoli" vuole marcare una rottura rispetto ai mesi e agli anni passati in cui le risposte alle concessioni di Israele sono state le aggressioni di Hamas ed Hezbollah. Non manca tuttavia chi, come Bret Stephens, sostiene che a Netanyahu converrebbe comunque adottare quell'espressione.
Dopotutto, Netanyahu ha comunque assicurato che Israele «non vuole governare i palestinesi» e che è disponibile a iniziare «immediatamente» i negoziati, e si è detto consapevole che dovrà fare ulteriori concessioni ai palestinesi. L'unica condizione è il riconoscimento del diritto di Israele a esistere come stato ebraico e il coinvolgimento degli stati arabi della regione nell'accordo di pace.
Sulla questione del nucleare iraniano Obama e Netanyahu sembrano quindi aver raggiunto un compromesso, seppure temporaneo: per dare una chance alla diplomazia, Israele eviterà qualsiasi confronto con l'Iran quest'anno. Obama sembra essere andato incontro a Netanyahu con questa sottintesa tempistica, anche se non si è espresso in termini così energici come Israele desiderava. Per il Jerusalem Post, invece, è Obama a «dettare le condizioni», e a Netanyahu non rimane che fare buon viso a cattivo gioco.
Sei mesi, d'altronde, potrebbero bastare all'Iran per dotarsi della prima testata nucleare. E' quanto emerso da un'audizione, alla Commissione Affari esteri del Senato, di Robert Morgenthau. Il «leggendario» procuratore distrettuale di Manhattan ha presentato la «lista della spesa nucleare» di Teheran. Ha spiegato cioè come, attraverso quali canali, aggirando le sanzioni, gli iraniani stanno cercando di ottenere tutti gli «ingredienti» per un arsenale di distruzione di massa. In particolare, materiali che servono per l'arricchimento dell'uranio e per missili a lungo raggio.
We have consulted with top experts in the field from MIT and from private industry and from the CIA... Frankly, some of the people we've consulted are shocked by the sophistication of the equipment they're buying.Informazioni, quelle fornite da Morgenthau, avvalorate anche da un rapporto interno della Commissione, presieduta da John Kerry, secondo cui l'Iran «sta compiendo progressi nucleari su tutti i fronti» e «potrebbe essere in grado di produrre uranio a gradazione per le armi in quantità sufficienti per una bomba entro sei mesi». «It's late in the game, and we don't have a lot of time», ha concluso Morgenthau.
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