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Monday, May 18, 2009

Il pericolo dell'immobilismo

L'ultimo post di Phastidio mi dà modo di tornare su alcune questioni che su questo blog ho trattato spesso ultimamente. Innanzitutto, l'immobilismo del governo:
«Questa maggioranza appare inequivocabilmente meno nociva di quella che l'ha preceduta, ma sfortunatamente appare caratterizzata da un immobilismo pericoloso e da una inclinazione alla conservazione dello status quo che non possono non preoccupare chiunque sia consapevole che, senza un rilancio della crescita, l'Italia è amabilmente fottuta, e non ci sarà nessuna narrativa da paese operoso di brava gente a tirarci fuori dal guano in cui siamo finiti da alcuni lustri».
Alla base di questo immobilismo c'è la lettura tremontiana della crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando. Una lettura che, fatta propria dal governo apparentemente senza divisioni al suo interno, guarda caso è anche piuttosto conveniente e consolatoria: la crisi viene da fuori (dagli Stati Uniti); l'hanno causata gli eccessi del mercato e della globalizzazione (che "per fortuna" da noi sono stati minori). Quindi, l'Italia sta meno peggio di altri e si riprenderà meglio. Basterà aspettare che la crisi passi.

Ebbene, sono profondamente in disaccordo con questa lettura. Spero che chi ce la propina non ne sia davvero convinto, ma che la ripeta per convenienza politica. E' vero che i nostri istituti finanziari si sono dimostrati più solidi di quelli di altri paesi - perché "parlano poco l'inglese", come ama ripetere Tremonti - ma altrettanto non si può sostenere della nostra economia "reale". Questa crisi si innesta su (e si somma ad) una crisi peculiare italiana, e di lunga durata. Mentre la crisi ha bruscamente arrestato la crescita di paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna, a noi ci ha trovati fermi. Basti guardare - per citare solo l'ultimo esempio in ordine di tempo - ai dati dell'Ocse sulle buste-paga italiane, tra le più leggere del mondo industrializzato. Il rischio è che quando la crisi finirà, mentre gli altri ripartono noi torneremo alla nostra crescita "zero virgola".

Come scrivevo alcuni mesi fa, la partita più importante per noi si gioca in Italia, non fuori: riducendo il debito, abbassando le tasse, liberalizzando. Ci sono tornato più volte, praticamente ogni volta che ho parlato di Tremonti, quindi non mi dilungo. Se gli americani hanno ecceduto in debito privato, noi abbiamo ecceduto in debito pubblico. Se entrambe le tipologie di debito si ripercuotono negativamente sull'economia, tuttavia l'eccesso di debito privato si digerisce più rapidamente attraverso il fallimento di chi ha fatto investimenti sbagliati, mentre quello pubblico è difficile da smaltire, perché su di esso proliferano gli interessi politici.

Lungi dall'essere un motivo per non toccare nulla, questa crisi che viene da fuori potrebbe invece rappresentare una straordinaria occasione per far accettare le riforme - sotto la spinta della necessità - ai poteri e ai settori di opinione pubblica più restii. Al contrario, temo che questo governo non abbia il coraggio della sfida riformista, se non con poche lodevoli eccezioni (come nella pubblica amministrazione, sia pure con grandi resistenze). Il rischio è che per non perdere neanche una piccola quota di consensi - perdita fisiologica quando si fanno delle riforme - ne perderà gran parte quando al termine dei cinque anni apparirà chiaro che non ha fatto nulla.

Non dobbiamo però sottovalutare il fatto che un governo di centrosinistra avrebbe quasi certamente reagito alla crisi aumentando ancora di più il debito o alzando ancora di più le tasse per reperire risorse per nuovi interventi dello stato. Insomma, tra un governo fermo e un governo che va nella direzione sbagliata, è sempre meglio il primo. A patto che ci sforziamo tutti di spingerlo nella direzione giusta. Cioè criticando, quando necessario, come fa Mario sul suo blog.

Su una cosa invece non concordo con lui. A suo avviso non servirebbe a nulla prendersela con l'opposizione. Certo, «rischia di configurare il reato di vilipendio di cadavere», ma se l'opinione pubblica del paese mostra una preoccupante «acriticità nei confronti del governo e del premier» è principalmente perché il Pd è quello che è. Quindi, è importante criticare il Pd, perché sappia "riformarsi" in fretta in senso liberale, almeno quanto lo è criticare il governo.

Se dal punto di vista delle scelte elettorali, quasi sempre effettuate seguendo la logica della «riduzione del danno» (votare per il "meno peggio"), non vedo ad oggi alternative al PdL, ciò non significa che serva a qualcosa sostenerlo «senza se e senza ma». Anzi, non si può che constatare con preoccupazione l'assenza di un dibattito di idee nel PdL e nella maggioranza. Dibattito di idee che non vuol dire rissa tra correnti o confusione programmatica, come nel Pd, e neanche marcare identitariamente una posizione sancendone così il carattere minoritario o di mera testimonianza. Non da oggi, e praticamente dalla sua nascita, mi sono sforzato di far capire agli amici di TocqueVille - a quanto vedo con scarsissimi risultati - che il compito dell'aggregatore dovrebbe essere quello di creare dibattito, non di amplificare il tifo da "curva Sud". E dallo stesso scopo dovrebbero essere animati anche i singoli blog di centrodestra e liberali.

Dell'acriticità dell'opinione pubblica non mi preoccuperei troppo. Gli italiani hanno dimostrato alle scorse elezioni di saper cambiare campo. Ad oggi il consenso di cui gode il governo è per lo più dovuto alla mancanza d'alternativa (e alla devastante esperienza Prodi-Visco, nei cui confronti non c'è stata alcuna vera rottura da parte del Pd). D'altronde la maggior parte dei sondaggi vengono effettuati sulle preferenze di voto.

Molti vedono nel Casoria-gate e nelle tensioni con la Lega i primi «scricchiolii» nella maggioranza e i motivi di un primo calo dei consensi. Io sono convinto invece che se il governo non agirà in fretta con le riforme che servono a liberare l'Italia dalle catene e dalle pastoie che ostacolano la crescita, prima o poi gli italiani cominceranno ad addossare al governo la responsabilità del prolungarsi della crisi. La crisi venuta da lontano diventerà la sua crisi.

2 comments:

Anonymous said...

La pressione fiscale non è cambiata di molto dai tempi di Prodi-Visco, è cambiata la comunicazione (non se ne parla più) ma non la sostanza.

Se il problema del PD fossero stati davvero Prodi e Visco il PD non avrebbe preso il 33% alle politiche, il crollo casomai è avvenuto dopo, durante la gestione Veltroni

Secondo me su questo ti sbagli, cioè non c'entrano nulla le tasse, perché sono in sostanza le stesse di prima (domandalo a Phastidio).

Matteo

Stanley said...

Beh,
ma allora dai ragione a Franceschini! Oddio...
Ricordi Guzanti che imitava Prodi?
Sono un 'semaforo'...
Il nostro Governo è così, non fa niente e se ne sta là fermo in mezzo all'incrocio...