Ieri, per circa tre quarti d'ora, dieci giornalisti e trenta diplomatici sono stati ammessi a seguire il procedimento. Ma solo a tre diplomatici - gli ambasciatori della Russia (in quanto paese presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu), della Thailandia (in quanto presidente di turno dell'Asean) e di Singapore - è stato permesso di scambiare qualche parola con la leader dell'opposizione democratica birmana, che stando a quanto trapelato da questi brevi colloqui avrebbe rilanciato l'appello alla «riconciliazione nazionale».
«Potrebbero esserci molte opportunità di riconciliazione nazionale se tutte le parti lo volessero», sarebbero state le parole di Suu Kyi, secondo un comunicato diffuso dal Ministero degli Esteri di Singapore, il cui ambasciatore è stato ammesso ai colloqui. Il problema, come sempre, è capire se i militari al potere sono disponibili. E per ora la risposta è chiara: no. Per l'ambasciatore britannico Mark Canning, infatti, il verdetto di colpevolezza è già scritto. Suu Kyi rischia una condanna a 5 anni, ma anche solo un anno sarebbe sufficiente per toglierla di mezzo dalle elezioni-farsa previste per il 2010.
Il Premio Nobel per la pace, ha raccontato l'ambasciatore britannico a The Irrawaddy, «considerato quello che ha passato, sembrava in un ragionevole stato d'animo e di salute. Era calma, dritta, vigile e dignitosa, e stava chiaramente guidando il suo team legale. Era interessante vedere gli ufficiali della sicurezza guardarla come si guarda qualcuno ancora considerato una figura chiave».
Il breve accesso all'aula dove si svolge il processo, sia pure positivo, «non cambia il problema fondamentale, cioè l'illegalità della sua detenzione», spiega Canning. «Non avrebbe dovuto trovarsi agli arresti domiciliari», come d'altronde neanche gli altri 2 mila prigionieri politici. «Le elezioni del 2010 non avranno alcuna credibilità senza il rilascio di Aung San Suu Kyi e degli altri prigionieri politici, e senza l'inizio di un dialogo effettivo tra il governo e l'opposizione», ha concluso il diplomatico.
Su Mizzima.com è stato pubblicato un commento di Enzo Reale, che suggerisce ai rappresentanti della National League for Democracy di elaborare e diffondere una Charta '09 per la democrazia in Birmania, sull'esempio cinese di Charta '08 e ispirata alla celebre Charta '77 dei dissidenti cecoslovacchi durante il regime comunista.
A text that, instead of repeating partial demands doomed to fall on deaf ears, raised the level of challenge against the regime with a political program based on the ideals and values of classical liberalism and historical declarations of rights. An anti-totalitarian Charter 09, inspired by Eastern Europe's Velvet Revolutions or other similar experiences and, at the same time, a model reply to the farcical constitution by which the generals will pretend to legitimate their grip on power. What purpose would such a document serve? Of course it would not produce a regime change tomorrow morning, nor stimulate an answer by a government far more repressive and paranoid than the Chinese regime. But certainly it could have some important consequences from other points of view. First of all it would demonstrate that the NLD and democratic activism in Burma are able to innovate themselves despite the persecutions of the regime and produce an ideal alternative beyond the mere concept of non-violence, an ideologically obsolete platform and now more similar to resignation than civil resistance. It would also provide a reference point for the birth of a civic movement involving a growing number of people, an embryonic civil society whose absence is today one of the main obstacles towards Burma's liberation and, at the same time, the best guarantee of survival for the military caste. Finally, a Charter 09 would compel the international community to recognize the new democratic Burmese movement as a living reality, worthy of material and moral support.
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