Anche Max Boot, su Commentary, si è cimentato nel giudizio sui primi 100 giorni di Obama, premettendo che questa scadenza è solo un'invenzione giornalistica. In politica interna, Obama si è rivelato "il liberal che i sostenitori di McCain si aspettavano". In politica estera, però, afferma Boot, "la storia è diversa": molti dei cambiamenti apportati da Obama alla politica estera di Bush sono "più retorici che sostanziali". La "continuità", secondo Boot, è "evidente", persino nella lotta al terrorismo, ma anche su altre questioni, dal NAFTA all'Iraq e all'Afghanistan.
Molti dei suoi cambiamenti per ora sono "marginali". Per esempio, il tentativo di dialogare con l'Iran "ad un livello leggermente superiore di quanto aveva fatto Bush", o i maggiori aiuti al Pakistan, o "il leggero allentamento delle sanzioni contro Cuba". "E' ovviamente prematuro - sottolinea Boot - concludere che la politica estera di Obama sia essenzialmente un terzo mandato dell'amministrazione Bush. Da qui in avanti potrebbero esserci grandi discontinuità; è solo che fino ad oggi non si sono ancora viste". Obama ha compiuto passi "simbolici", come le scuse per i "misfatti" americani o le strette di mano con Chavez. "Non intendo dire che il simbolismo non sia importante. Lo è. Ma la sostanza è ancora più importante e penso che Obama meriti una sufficienza piena in politica estera per i suoi primi 100 giorni", conclude un analista neoconservatore come Max Boot.
E' un'insufficienza invece quella di Kim Holmes, della Heritage Foundation, secondo cui il messaggio portato da Obama in due continenti come Europa e America Latina è "semplice": "l'America ha commesso molti errori nel passato, ma ora siamo pronti ad ascoltare gli altri e ad essere più flessibili". Un messaggio "molto popolare", che ha assicurato ad Obama "scroscianti applausi". "Il problema però - osserva Holmes - è capire se la popolarità personale del presidente all'estero si trasformerà in risultati concreti per gli Stati Uniti. Finora non è stato così".
No comments:
Post a Comment