Se tutto questo è vero, tuttavia il periodo Bush-Cheney «durò forse tre anni». Dal 2005 circa è cominciato il «periodo Bush-Rice-Hadley. Gradualmente, alcuni funzionari dell'amministrazione tentarono di fermare gli eccessi del periodo Bush-Cheney. Non l'hanno sempre spuntata, sono stati spronati dalle decisioni dei tribunali e dalla pubblica indignazione, ma la graduale evoluzione della politica è stata evidente», sottolinea Brooks.
«Durante il secondo mandato di Bush, i funzionari stavano cercando di chiudere Guantanamo, implorando i governi stranieri di prendersi alcuni prigionieri, supplicando i senatori di permettere il trasferimento di alcuni su territorio americano. Ma non potevano annunciare la chiusura di Guantanamo prima di capire cosa fare con i prigionieri».Cheney e Obama «possono far finta del contrario, ma non è stata la presidenza Obama a fermare il waterboarding». Sono stati i direttori della CIA che si sono succeduti dal marzo 2003, persino prima di un «devastante» rapporto dell'ispettorato generale nel 2004.
«Quando Cheney denuncia il cambiamento nella politica di sicurezza, in realtà non sta attaccando Obama, ma la seconda amministrazione Bush. Nel suo discorso pubblico all'AEI ha ripetuto molti degli argomenti usati alla Casa Bianca mentre le politiche dell'amministrazione stavano prendendo un'altra piega. L'insediamento di Obama non ha segnato uno spostamento nella sostanza della politica anti-terrorismo, ma un cambiamento nella credibilità pubblica di quella politica».Una conferma di questa lettura viene da Jack Goldsmith, ex consulente legale dell'amministrazione Bush, nell'articolo su The New Republic intitolato "The Cheney Fallacy". Goldsmith elenca una serie di politiche - Guantanamo, la sospensione dell'habeas corpus, le commissioni militari, le cosiddette rendition, gli interrogatori e così via - mostrando come nella maggior parte dei casi, la politica di Obama sia in continuità o rappresenti una graduale evoluzione rispetto alla politica dell'ultimo Bush.
«La differenza fondamentale tra le amministrazioni Obama e Bush riguarda non la sostanza della politica anti-terrorismo, quanto piuttosto la sua presentazione. L'amministrazione Bush si è data a lungo la zappa sui piedi, a detrimento della legittimazione e dell'efficacia delle sue politiche, disinteressandosi delle procedure e della presentazione. L'amministrazione Obama, al contrario, è seriamente concentrata su di esse».Obama, conclude quindi David Brooks, «ha ripreso molto delle politiche che lo stesso Bush aveva abbandonato, le ha rese credibili agli occhi del paese e del mondo. Le ha mantenute e riformate in modo intelligente. Le ha inserite in un contesto più convincente. Facendo ciò non ci ha resi meno sicuri, ma più sicuri. Nel suo discorso Obama ha spiegato le sue decisioni in modo dettagliato e coerente. Ha ammesso che alcuni problemi sono difficili e non sono di facile soluzione. Ha trattato gli americani da adulti, e ha avuto il loro rispetto». Certo, ammette Brooks, magari sarebbe potuto essere più riconoscente e onesto con i funzionari dell'amministrazione Bush delle cui politiche si sta ancora avvalendo.
Anche secondo Charles Krauthammer nella sostanza Obama sta adottando le tanto vituperate politiche di Bush, ma a differenza di Brooks e di Goldsmith, per Krauthammer ciò ha a che fare con l'ipocrisia di Obama mentre i meriti sono di Bush.
«Se l'ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù, allora le inversioni di rotta su misure anti-terrorismo in passato denunciate sono il tributo che Obama paga a George W. Bush. In 125 giorni Obama ha adottato con modifiche solo marginali un'ampia parte dell'intero programma di Bush accusato di essere illegale».L'ultima "inversione di rotta" è la riesumazione delle commissioni militari. Obama le aveva sospese dopo il suo giuramento, ma ora sono tornate. Naturalmente, non ammetterà mai a parole ciò che ha fatto nella realtà. Lo schema è quello solito, in tre mosse:
«(a) condannare la politica di Bush, (b) annunciare ostentatamente cambiamenti solo cosmetici, (c) infine, adottare la politica di Bush».Su Guantanamo, sono i «compagni democratici di Obama che hanno ben presto scoperto la sensatezza della scelta di Bush». I senatori democratici non sono in linea di principio contrari, ma si oppongono alla chiusura «finché il presidente non chiarisce dove intende mettere i detenuti». Secondo alcuni, in ogni caso non sul suolo americano. E ciò non lascia aperte molte altre possibilità.
«I paesi di origine non li vogliono. Gli europei sono recalcitranti. L'isola di Sant'Elena dovrebbe essere rimessa a posto. L'Elba non ha funzionato molto bene la prima volta. E "l'isola del diavolo" ora è una meta turistica. Guantanamo sta ricominciando a sembrare una buona scelta».«Osservatori di tutte le parti politiche sono sbalorditi da quanta parte della politica di sicurezza nazionale di Bush sta per essere adottata da questo nuovo governo democratico». Victor Davis Hanson (su National Review) fa un elenco parziale: il Patriot Act, le intercettazioni telefoniche e di e-mail, le commissioni militari, gli attacchi dei droni, Iraq e Afghanistan, e ora Guantanamo. Jack Goldsmith (su The New Republic) aggiunge: le cosiddette rendition; il segreto di stato; la sospensione dell'habeas corpus - e la prigione di Bagram, in Afghanistan, «non è diversa dal punto di vista concettuale e morale da Guantanamo».
«Cosa dimostra tutto ciò?», si chiede Krauthammer.
«La demagogia e l'ipocrisia dei democratici? Certo, ma a Washington, l'opportunismo e il cinismo non fanno notizia. C'è qualcosa di più grande in gioco - un innegabile, irresistibile, interesse nazionale che, alla fine, al di là della cattiva politica, si afferma da sé. La genialità della democrazia è che l'alternanza al potere obbliga l'opposizione a diventare responsabile quando va al governo. Quando i "nuovi ragazzi", portati al potere dalla volontà popolare, adottano le politiche dei "vecchi ragazzi", si creano un nuovo consenso nazionale e una nuova legittimazione. E' ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi. Le politiche di Bush nella guerra al terrore non dovranno aspettare gli storici per ottenere giustizia. Obama la sta già facendo giorno dopo giorno».Le sue smentite «non significano nulla». Contano i fatti.
Obama sta «correggendo qui e là le politiche dell'amministrazione Bush e sta cercando di fornire ad esse un più solido fondamento legale», osserva anche Clive Crook, oggi sul Financial Times. «Questa ricalibratura è significativa e saggia, ma in nessun modo si tratta dell'approccio interamente nuovo» che tutti si aspettavano. Secondo Crook, Obama «è nel giusto, ma deve ai suoi sostenitori delle scuse per averli fuorviati. E deve delle scuse anche a George W. Bush per aver detto che l'approccio della precedente amministrazione era un'offesa ai valori americani, mentre le sue politiche sarebbero state del tutto consonanti con essi». Una volta entrato in carica, Obama «ha scoperto che il problema è molto più complicato». Che il terrorismo «non è un'ordinaria impresa criminale» e sconfiggerlo richiede «misure straordinarie». «Di fatto - conclude Crook - Obama ha ammesso che su questo l'amministrazione Bush aveva ragione».
Probabilmente tra un anno il presidente Obama riuscirà a mantenere la promessa di chiudere Guantanamo, ma il fatto che per i 241 terroristi ancora detenuti abbia annunciato le stesse soluzioni giuridiche già individuate e tutte praticate dall'amministrazione Bush è la dimostrazione che comunque la si pensi non ci sono i "torturatori" da una parte e i "buoni" dall'altra; e che lo status e la detenzione dei terroristi è un problema di natura squisitamente giuridica di grande complessità, che andrebbe affrontato senza demagogie e strumentalizzazioni, in modo bipartisan, e magari trovando una soluzione il più possibile uniforme tra le democrazie.
1 comment:
Ma guarda è proprio l'infiocchettamento che la fa differenza, Obama almeno è liberal.
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