L'appello alla riforma del welfare lanciato da Confindustria e, per la prima volta, non contestato pregiudizialmente da tutti i sindacati, va accolto. Non solo per verificare la possibilità di un'intesa, ma per sgomberare o confermare il sospetto che incomincia a convincere molti: quello di un'ipocrita commedia all'insegna dello slogan "ora le riforme". Perché, in campagna elettorale, è troppo pericoloso impaurire la somma degli interessi costituiti in difesa dell'esistente e perché è più facile, per chi non ha responsabilità di governo, inneggiare al cambiamento.Mai avrei creduto di potermi trovare un giorno, in Italia, di fronte a una situazione in cui proprio i sindacati (soprattutto Cisl e Uil) e l'opinione pubblica (il 59%, almeno stando ad un recente sondaggio del Financial Times) sembrano sempre più favorevoli, o per lo meno possibilisti, sull'innalzamento dell'età pensionabile e la riforma del welfare, mentre un governo di centrodestra si sta sempre di più caratterizzando per la sua resistenza ad ogni ipotesi di riforma in campo economico e sociale e per il suo immobilismo, nonostante sia evidente che i suoi elettori non si aspettano certo la mera gestione dell'esistente.
La divaricazione tra le due Italie che, in questo momento, fronteggiano la situazione di crisi è davvero insopportabile. Da una parte, i garantiti: coloro che, addetti all'impiego pubblico o semipubblico, non solo non rischiano il posto di lavoro, ma, in un periodo di inflazione moderata, almeno finché durerà, constatano un potere d'acquisto, tutto sommato, non inferiore ai tempi passati. Dall'altra, chi ha visto drammaticamente ridotto il suo salario dalla cassa integrazione o, addirittura, non ha più speranze di una riapertura della sua fabbrica o del suo ufficio. In fondo al secondo girone, quello che potremmo chiamarlo, alla Primo Levi, dei "sommersi", ci sono i precari... Come è possibile sopportare l'ingiustizia di protezioni sociali che così dividono la sorte di tanti italiani? Come è possibile non accettare un innalzamento dell'età pensionabile, di fronte a una molto più lunga aspettativa di vita, per poter estendere a tutti la sicurezza di non essere abbandonati a una perenne precarietà del lavoro? È a questa linea di coraggioso rinnovamento nella politica sociale ed economica che Berlusconi dovrebbe rispondere. Coi fatti.
A Il Foglio il ministro Sacconi - che se fosse stato un ministro del governo Prodi sarebbe stato additato dal centrodestra come il peggior esponente del conservatorismo sociale - spiega che a causa della crisi i cinquantenni sono a rischio e che quindi «bisogna evitare di posporre l'età pensionistica». Quando era all'opposizione, Sacconi fu tra quanti definirono «controriforma» l'abolizione dello "scalone Maroni" da parte del governo Prodi. Oggi scopriamo che per Sacconi anticipare l'età pensionabile (come ha fatto il governo Prodi) è solo «discutibile», mentre «posporla sarebbe anche peggio».
Il pre-pensionamento, quindi, come ammortizzatore sociale. Il ministro lo teorizza senza pudore: «Quella discutibile modalità di proteggere i disoccupati con la pensione può, in questo caso, essere oggettivamente utile». Ma in questo modo ammette implicitamente proprio l'urgenza di una riforma del welfare nel senso di ammortizzatori sociali universali, che si potrebbero finanziare alzando l'età pensionabile.
Quando ci saranno le condizioni per alzare l'età pensionabile non è dato sapere, ma il ministro avverte che in ogni caso l'obiettivo del governo sarebbe quello di mandare «in pensione più tardi ma con pensioni più consistenti». Dunque, per Sacconi, i risparmi derivanti da un eventuale innalzamento dell'età pensionabile dovrebbero rimanere nella previdenza. Pazienza se il nostro sistema sociale è terribilmente squilibrato sulla spesa previdenziale mentre le altre voci di un welfare moderno soffrono.
Dai dati Eurostat relativi al 2005 sulla composizione della spesa sociale nei 27 Paesi membri dell'Unione europea risulta che mentre gli altri paesi spendono in pensioni mediamente il 45,9% del loro budget sociale (il 12% del PIL), in Italia le pensioni assorbono ben il 60,7% dell'intera spesa sociale (e il 15,5% del PIL). Squilibrio che emerge negli stessi termini anche dal confronto con le nazioni paragonabili all'Italia per dimensioni e strutture economico-sociali e demografiche (Francia, Germania, Gran Bretagna). Ciò permette a queste nazioni di dedicare più risorse dell'Italia ad altre voci di spesa sociale: l'assistenza sanitaria; i servizi sociali alla famiglia e ai bambini, come gli asili nido (che incentivano il lavoro femminile e aiutano le donne a conciliare carriera e famiglia, con effetti positivi anche sui redditi e sul PIL); gli ammortizzatori sociali.
Questo governo ha messo su «una rete di protezione del reddito senza limiti di tempo né di tipologie, che potenzialmente può raggiungere tutto il lavoro subordinato», rivendica Sacconi. Ma allora perché - viene da chiedersi - questa paura di dover mandare in pensione i cinquantenni per proteggerli dalla disoccupazione, se esiste già una rete di sicurezza così ampia?
Solo un ministro nell'attuale governo mantiene un approccio se non liberista, almeno riformista, liberale, blariano: è Brunetta, che in un'intervista al settimanale Oggi in edicola mercoledì assicura: «Cambieremo questo Welfare scassato, che costa tanto e protegge solo i pensionati, poco i giovani e pochissimo le famiglie». Peccato che appaia in totale solitudine nella compagine governativa. Eppure, se si facesse un referendum domani tra gli elettori di centrodestra, a grande maggioranza vincerebbero l'innalzamento dell'età pensionabile e il taglio delle tasse subito.
2 comments:
Sì ma come fai a organizzare un referendum solo per gli elettori di centro-destra? Sarebbe apartheid, non te lo lascierebbero fare... falle tu le riforme, un po' di iniziativa.
vorrei farti notare che la quasi totalità degli impiegati pubblici sotto i 40anni ha un contratto precario o di collaborazione, e stanno tutti per andare a casa senza uno straccio di ammortizzatore sociale.
e sono quelli che mandano avanti la baracca.
il fatto che dal 2001 non si facciano concorsi e che il turnover è diventato ridicolo, fa si che lo stato si ritrovi sottopersonale e che faccia fare spesso gli straordinari non pagati (la minaccia di sciopero dei celereini ne è un esempio).
ciccio
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