Torno sulla visita di Gheddafi anche per segnalare un commento, quello di Roberto Perotti, sul Sole 24 Ore di oggi, che mi pare condivisibilissimo per quanti, come me, non ritengono scandalosi il trattato di amicizia e gli accordi con la Libia ma hanno trovato francamente eccessivi e stomachevoli gli onori tributati in queste ore al leader libico. Aggiungo però che uno scandalo ancora maggiore avrebbero dovuto suscitarlo, e dovrebbero suscitarlo tuttora, le politiche andreottiane e craxiane nei confronti della Libia negli anni '80 - quando addirittura abbassavamo la testa di fronte a un Gheddafi aggressivo e minaccioso - e nei confronti del mondo arabo in generale e persino delle organizzazioni terroristiche. Della politica estera italiana di allora nessuno si vergogna?
Perotti osserva che a non parlare con i dittatori, «alla fine, a rimetterci sono i paesi più piccoli, contro i quali si fa una bella figura a ergersi a paladini dei diritti umani, senza però subire troppe conseguenze sul piano economico... così come sarebbe ipocrita rifiutarsi di fare affari con il colonnello». Se da una parte c'è questa ipocrisia, è anche vero che «quanto avviene in questi giorni va però ben al di là del necessario», che sono il trattato, gli accordi, i rapporti commerciali.
Perotti ben individua i motivi di questa calorosa accoglienza: nel suo piccolo, il fondo sovrano libico ci torna utile per ricapitalizzare banche e aziende (è ovvio che l'etica di impresa di cui straparlando ministri e industriali va a farsi fottere); il secondo motivo è che «vorremmo rifilargli un po' d'immigrati illegali». Vanno bene i respingimenti, meno bene disinteressarci di come a pochi chilometri dalle nostre coste vengono trattati gli immigrati ma anche gli stessi cittadini libici. Poi Perotti spiega perfettamente le cause della debolezza e dell'irrilevanza della nostra politica estera:
«Una conseguenza inevitabile del susseguirsi incessante di governi improvvisati, e di tante piccole furberie che a noi sembravano sottili equilibrismi di statisti consumati ma che all'estero apparivano solo come frutto di politici inesperti e inaffidabili. Per rifarsi una patina di rispettabilità internazionale, il punto di partenza più naturale è il teatro dietro casa, il Mediterraneo. Purtroppo per noi, a tutti gli altri una tale politica appare terribilmente provinciale. Queste aspirazioni si saldano con il terzomondismo dormiente in molti ambienti italiani, secondo cui Gheddafi, con tutti i suoi problemi, è un interlocuotre accettabile perché proviene pur sempre dalla parte "politicamente corretta" del mondo. E' questa una motivazione che ha svolto un ruolo fondamentale negli anni '80 e '90, quando diversi governi di centro-sinistra hanno corteggiato Gheddafi per fare uno sgarbo all'alleato americano e mettersi a posto la vecchia coscienza militante, e che forse spiega il coinvolgimento anche di certi ambienti della sinistra (come la Fondazione Italianieuropei) nello spettacolo di questi giorni».Si riferisce al nostro al-Dalemah. Infine, il «degrado» dell'università italiana. Perotti osserva come l'intervento del dittatore libico a La Sapienza e la laurea honoris causa a Sassari non abbiano sollevato indignazione e proteste paragonabili a quelle contro la visita di Papa Benedetto XVI.
1 comment:
Se Obama stringe la mano a Chavez chiedete l'impeachment, se Berlusconi la stringe a Gheddafi è tutto folklore. Complimenti. Che c'entra D'Alema? E' l'argomento del bue che da del cornuto all'asino.
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