Al governo per cambiare lo Stato, lo Stato ha cambiato il centrodestra
E' vero che nessuno ci ha mai chiesto il pareggio di bilancio nel 2011, ed è vero che l'entità della manovra per il 2011 e il 2012, se si sommano gli effetti dei provvedimenti assunti negli anni scorsi, è pressocché identica a quella per il 2013 e 2014, quindi l'accusa di aver scaricato sul successivo governo il peso del risanamento è falsa, posta in questi termini. Lo stesso Tremonti, come ricorda Porro su il Giornale, fece nell'estate del 2008 una manovra da quasi 40 miliardi (quella dei cosiddetti «tagli lineari») che proprio in questi anni sta dispiegando i suoi effetti. Nessuna «bomba a orologeria», dunque. E persino il presidente Napolitano, in quella che è sembrata una replica alle critiche delle opposizioni, l'altro ieri certificava che la concentrazione dei sacrifici nel 2013 e 2014 corrisponde alle richieste europee. Ma in realtà, in mancanza di altre grandi riforme "epocali" da poter vantare, un'accelerazione sarebbe stata nell'interesse proprio dell'attuale governo.
Il pareggio di bilancio nel 2013 anziché nel 2014, cioè con un anno di anticipo, avrebbe significato certo fare più di quanto la stessa Europa ci ha chiesto, certamente avrebbe comportato tagli maggiori nel 2011 e nel 2012, ma forse avremmo sorpreso positivamente i mercati, evitando di restare sul filo del rasoio per altri due anni, e sul piano politico la maggioranza uscente si sarebbe potuta presentare agli italiani con un grande, storico obiettivo centrato prima del voto. Anche la legge delega per la riforma del fisco prevede un arco temporale - tre anni - che scavalca il termine di questa legislatura. Un altro obiettivo, dunque, quello della riduzione delle tasse - ammesso che alle tre nuove aliquote corrisponderanno scaglioni di reddito tali da ridurre effettivamente il carico fiscale - che esce dall'orizzonte dell'attuale legislatura, la seconda di questo centrodestra al governo.
La manovra sì, sembra soddisfare le richieste europee e mettere in sicurezza i conti. Contiene anche buone misure, accanto ad altre dal deciso sapore anti mercato. Ma se dal punto di vista contabile è probabile che raggiunga il suo scopo (il pareggio di bilancio nel 2014) - spero che nessuno sotto sotto, per fare dispetto a Berlusconi e a "Voltremont", auspichi per l'Italia la fine della Grecia - dal punto di vista politico sancisce il tramonto della leadership di Berlusconi (che le cronache riportano letteralmente assopito) e l'apice dell'influenza di Tremonti, il quale però sbaglierebbe ad illudersi di aver cambiato paradigma al Paese, come pure crediamo che nel suo intimo si prefiggesse.
Dopo all'incirca otto anni di gestione del Tesoro ciò che il ministro Tremonti è stato capace di presentare agli italiani è una manutenzione, saggia ma da ragioniere, dell'esistente, mentre era lecito aspettarsi, e ce ne sarebbe stato tutto il tempo in questi ultimi tre anni, una rivoluzione copernicana, in senso liberale, dello Stato. Questa manovra invece non rivoluziona la macchina statale, non dice agli italiani la verità su un modello statalista ormai insostenibile, né libera dalla spesa pubblica risorse sufficienti, in modo da rendere possibile, o da prefigurare un nuovo e diverso paradigma economico e sociale. Quel paradigma che a nostro avviso dovrebbe costituire le fondamenta politiche di una coalizione di centrodestra - e cioè che per spendere occorre produrre, per produrre occorre lavorare e non imboscarsi, e che la ricchezza si produce con meno Stato (leggi meno politica), meno tasse e più mercato.
PENSIONI - L'agganciamento automatico dell'età di pensionamento alle speranze di vita poteva partire già dal 2012, mentre è ridicolo il rinvio di due decenni - non al 2014 ma addirittura al 2032 - dell'equiparazione tra l'età pensionabile degli uomini e quella delle donne. Nel 2032 anche nel settore privato le donne dovranno andare in pensione a 65 anni, come gli uomini, ma è altamente probabile che per quella data dovremo tutti andare in pensione a 70 anni. Gran parte della manovra per fortuna graverà sui bilanci di ministeri ed enti locali (giusto che ai Comuni "virtuosi" sia consentito di spendere), ma non mancano misure da Prima Repubblica per fare cassa, come superbolli e ticket sanitario. Nemmeno sfiorato il capitolo province. Abolirle del tutto non si poteva? Tagliarne qualcuna - per esempio quelle che fanno capo alle grandi metropoli - forse sì, e con qualche risparmio non trascurabile.
COSTI DELLA POLITICA - Potevano rappresentare un cambio di paradigma anche i tagli ai costi della politica, ma il rinvio negli anni rende incerto anche questo capitolo. Se il livellamento delle remunerazioni di tutti gli incarichi politici ai corrispondenti europei (dei sei grandi Paesi dell'area Euro), può rappresentare una piccola rivoluzione dal valore non solo simbolico, bisognerà però aspettare la conclusione dei lavori di una commissione ad hoc, con tutte le incognite del caso. Incoraggiante la stretta su auto e aerei blu, e l'ulteriore decurtazione del 10% del finanziamento ai partiti, così come l'accorpamento delle tornate elettorali (esclusi i referendum), ma sugli stipendi dei parlamentari bisognerà fare i conti con le competenze esclusive di Camera e Senato. E questo non lascia ben sperare.
SVILUPPO, SANITA', STATALI - Certo, non mancano buone misure per favorire lo sviluppo, ma anche su questo fronte manca un cambio di paradigma. Le liberalizzazioni, per esempio, si riducono agli orari di apertura dei negozi (solo in alcune città) e ai servizi di collocamento, mentre il capitolo professioni e ordini rimane blindato, tranne rare eccezioni che scommettiamo il Parlamento renderà non più tali. Molto positiva la tassazione di vantaggio (aliquota del 5% per 5 anni) per le imprese create dai giovani fino a 35 anni e per il nuovo modello contrattuale concordato da sindacati e Confindustria, per incentivare contrattazione decentralizzata e premi di produttività; bene la reintroduzione dei ticket circoscritta agli esami specialistici e ai codici bianchi in pronto soccorso, per responsabilizzare un minimo gli utenti, e la proroga del blocco delle assunzioni e degli aumenti contrattuali nel pubblico impiego, così come la stretta sulle assenze, con la "visita fiscale" che potrà scattare fin dal primo giorno della dichiarata malattia.
FISCO - Se pare accantonata la tassa del 35% sulle operazioni finanziarie delle banche, così come il balzello dello 0,15 per cento sulle transazioni finanziarie, viene però aumentata l'Irap a carico di banche, assicurazioni e società finanziarie, e viene aumentato il bollo sul "dossier titoli", misure il cui peso si trasferirà ovviamente sui clienti e che inspiegabilmente vanno a "punire" chi investe nella crescita del Paese. Passa anche il superbollo per le auto di grossa cilindrata (potenza superiore a 225 kw), mentre su questa follia dei Suv giganteschi vedrei con maggiore favore restrizioni e disincentivi a livello comunale, per occupazione di suolo pubblico. La delega sul fisco è una scatola vuota. Le tre aliquote Irpef ok, ma tutto dipenderà dagli scaglioni di reddito che verranno associati ad esse e da quante risorse per finanziare la riforma verranno dalla spesa pubblica corrente. Probabili l'aumento dell'Iva e la cosiddetta «armonizzazione» della tassazione sulle cosiddette "rendite" finanziarie. Unica aliquota fino al 20%, esclusi i titoli di Stato: saliranno le tasse sulle obbligazioni e scenderanno quelle sui depositi bancari, oggi al 27. Ai piani di risparmio, ai fondi pensione e alle forme di assistenza socio-sanitaria complementare si promettono aliquote inferiori al tetto del 20. A parte il fatto che il risparmio investito è già stato abbondantemente tassato alla fonte, sul reddito, l'orientamento sembra quello di "punire" gli investimenti più rischiosi, il finanziamento delle imprese tramite la Borsa, e premiare il semplice deposito o quelli più "conservativi". Demenziale, ben sapendo della cronica difficoltà delle nostre imprese nell'accesso al credito e nell'attrarre investimenti in Borsa.
2 comments:
Seminerio risponde a Porro e indirettamente a te su "orologeria" (e altro): http://phastidio.net/2011/07/01/da-laffer-ad-andreotti-via-tremonti/#more-6690
Ma la critica la condivido anch'io e l'ho scritto: bisognava fare di più e prima. E aggiungo pure che al governo sarebbe convenuto. E' vero però che sommando gli effetti dei provvedimenti già assunti negli anni precedenti, anche nel 2011 e nel 2012 abbiamo di fatto manovre di una ventina di miliardi o poco meno.
D'accordo con Seminerio anche sulla logica "andreottiana", "da Prima Repubblica" e anti mercato, di alcune misure, e sulle critiche per le mancate liberalizzazioni. Tutte cose di cui ho scritto ampiamente e preventivamente nei giorni scorsi.
Non sono d'accordo con lui per il pessimismo, ma credo sia questione di carattere. Preferisco sperare che il pareggio sia raggiunto, anche se temo - e anche questo l'ho scritto - che se non cresceremo abbastanza può rivelarsi tutto inutile o quasi.
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