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Tuesday, October 05, 2010

Abolizionisti da salotto

Pur restando contrario alla pena di morte (essenzialmente perché non nutro nello Stato una fiducia tale da ritenerlo in grado di assumere decisioni così definitive), mi dissocio dalle campagne abolizioniste, che ormai hanno ceduto al peggior relativismo culturale e politico. Sakineh Ashtiani come Teresa Lewis. Ahmadinejad ha così accusato l'Occidente di «doppio standard» e direi che la provocazione ha fatto una certa presa sui benpensanti e gli attivisti occidentali. Oggi, sul Fatto quotidiano, ma è solo l'ultimo in ordine di tempo, uno dei principali protagonisti in Italia, oltre ad "Amnesy" international, della battaglia contro la pena capitale, Sergio D'Elia (Nessuno Tocchi Caino) scrive che Sakineh e Teresa «restano le due diverse facce della stessa, fasulla e arcaica medaglia della pena di morte». No, proprio no, si tratta di due "medaglie" completamente diverse: una è d'oro, l'altra di latta. Non accorgersene significa rendersi semplicemente non credibili.

Nel perseguire l'obiettivo o coltivare l'auspicio dell'abolizione della pena di morte, è a mio avviso un errore gravissimo mettere sullo stesso piano sistemi politici e giudiziari agli antipodi. Per la causa in sé, ma anche per quella a mio avviso più grande per la democrazia e i diritti umani. Non c'è «la legge islamica del taglione» da una parte e «la legge biblica dell'occhio per occhio» dall'altra, come crede D'Elia. In Iran sì, c'è letteralmente la legge islamica, e nessuna garanzia per l'imputato; negli Usa, invece, parlare di legge biblica è solo un'iperbole, in realtà c'è uno stato di diritto ed è garantito (molto più che in Italia) il giusto processo. Persino il metodo di esecuzione fa eccome la differenza. Una società in cui si può essere lapidati per adulterio è oggettivamente primitiva rispetto ad una dove per un efferato duplice omicidio si arriva all'iniezione letale. Da non sottovalutare anche la possibilità di appellarsi e di fare campagne pubbliche alla luce del sole. Da una parte, infatti, abbiamo un Paese democratico, gli Stati Uniti, dove il dibattito sulla pena di morte fa parte da sempre del libero confronto delle idee e in qualsiasi momento lo decidano, gli americani possono con un voto democratico abrogarla.

In questo senso, non riconoscere che certi sistemi politici e giudiziari sono superiori, di gran lunga superiori (non uso a caso questo termine: superiore) ad altri, è un errore di approccio che spalanca le porte alla propaganda delle peggiori dittature, proprio laddove la campagna contro la pena capitale non ha nemmeno diritto di cittadinanza, al contrario che in America. Ed è proprio questo a mio avviso, la comodità del "fare" campagna (in un Paese più trasparente, dove c'è accesso ai documenti e ai dati, è garantito diritto di cronaca e di critica, ci si può appellare a giudici indipendenti e si possono condurre campagne d'opinione e culturali, anche attraverso il cinema) che spinge molte organizzazioni e molti intellettuali non solo a mettere sullo stesso piano Paesi dai regimi molto diversi tra di loro, ma addirittura a concentrarsi ossessivamente sugli Stati Uniti piuttosto che su Paesi dove sarebbe molto più difficile, persino a rischio della propria vita, far passare certi messaggi. L'effetto che ne deriva è che questi attivisti (non certo la gente normale) si scandalizzano per la pena di morte negli Usa, mentre "razzisticamente" sembrano ritenere quasi inevitabile che gli iraniani o i cinesi patiscano certe "usanze".

2 comments:

Cachorro Quente said...

Non mi convinci affatto.

Tanto per cominciare, da un punto di vista pragmatico, è più probabile che gli USA aboliscano la pena di morte piuttosto che l'Iran.

Poi, seguendo il noto precetto evangelico, è poco credibile fare le pulci ad Ahmadinejad quando si ha qualche peccatuccio sulla coscienza. Inoltre
la tua chiusa mi sembra fuori luogo: in questo caso è stato l'Iran a scandalizzare gli occidentali, è Teresa Lewis nessuno se la sarebbe filata se non fosse stato per Sakineh.
In ultimis, è evidente che il sistema giuridico statunitense sia migliore di quello cinese. Ma è come dire che siccome c'è più corruzione in Zambia che non in Calabria, la corruzione in Calabria non è un problema. La pena di morte negli USA rimane una vergogna, che colpisce 9 volte su 10 reietti della società non in grado neanche di capire le istruzioni di un avvocato, figuriamoci pagarne uno. Per carità, possibilità di recupero pari a zero in genere, ma non credo di peccare di moralismo se dico che l'omicidio rituale di un malato di mente non dovrebbe far parte di una società avanzata.

Anonymous said...

gesùsanto, ed una volta eri radicale....

oh, belle capriole linguistiche.
bravo.

tzk, è proprio vero, alcuni invecchiano male...