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Wednesday, October 06, 2010

A carte sempre più scoperte

Un altro smaccato caso della sopravvenuta incompatibilità tra il ruolo politico che ormai da mesi Fini ha deciso di giocare e la carica istituzionale che ricopre. Come richiesto dai capigruppo dell'opposizione contro il parere di quelli di maggioranza, Fini sollecita il presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, Donato Bruno, ad incardinare il dibattito sulla legge elettorale. Evidentemente sacrificando altre priorità, ma per una buona causa: quella del suo nuovo partito. C'è da ridurre le soglie di sbarramento e abolire il premio di maggioranza. Con buona pace del credo bipolarista e uninominalista sempre professato da Fini e dai suoi. Le priorità oggi sono altre: si tratta di porre le basi per il prossimo "ribaltone". La semplice prospettiva di modifiche alla legge elettorale che impediscano a Berlusconi di tornare a Palazzo Chigi potrebbe infatti favorire il formarsi di una inedita maggioranza (da Fli a Di Pietro passando per Casini, Rutelli e il Pd), pronta in caso di crisi a dar vita a un governo tecnico al solo scopo, appunto, di cambiare il sistema di voto. Al Senato i numeri necessari all'operazione ancora mancano, ma ci stanno lavorando - il presidente della Camera primo fra tutti - facendo leva anche sull'accelerazione, che Fini grazie al suo ruolo può garantire, dell'esame delle proposte di riforma della legge elettorale.

Con l'avvio del percorso fondativo del nuovo partito finiano, dell'incompatibilità di Fini con le funzioni di terza carica dello Stato sembra aver preso atto finalmente il Corriere della Sera:
«La mutazione del presidente della Camera in leader di partito gli impone però di dare alcune risposte al Paese. Alcune riguardano il passato: Fini ha bloccato il processo breve, che avrebbe mandato in fumo migliaia di processi per fermare quelli di Berlusconi; ma ha votato il lodo Alfano, il legittimo impedimento e altre numerose leggi ad personam nei sedici anni in cui è stato alleato di Berlusconi. Altre risposte riguardano il futuro, e in particolare il suo ruolo istituzionale.
È vero, sia Casini sia Bertinotti sono stati nel contempo presidenti della Camera e capi di partito. Anche nella prima Repubblica è accaduto che sullo scranno più alto di Montecitorio sedessero leader politici, oltretutto a capo di correnti avverse alla segreteria del loro partito, dal democristiano Gronchi al comunista Ingrao. Ma non è mai accaduto che il presidente in carica si mettesse alla testa di una nuova forza, nata da una scissione del partito di maggioranza relativa, che compatto l'aveva indicato per la terza carica dello Stato».
Ma soprattutto non è mai accaduto e rappresenta un vero scandalo politico e istituzionale - che Napolitano con il suo silenzio ha la gravissima responsabilità di legittimare - che gruppi parlamentari che fanno riferimento al presidente della Camera lavorino nell'ombra per sfilare dalla maggioranza dei senatori (altri la chiamerebbero "campagna acquisti") per rendere possibile un "ribaltone" e un governo tecnico che vedrebbe relegati all'opposizione i partiti usciti vincitori dalle elezioni del 2008 (il che sarebbe un altro inedito nell'intera storia repubblicana, persino rispetto al "ribaltone" del 1995). Ma è un disegno che ormai viene teorizzato alla luce del sole da Bocchino, e quindi riconducibile a Fini. Conclude il Corriere:
«Ora però dovrebbe valutare se il difficile lavoro di costruire un partito, con la ragionevole prospettiva di condurlo presto in una durissima campagna elettorale, sia compatibile con la presidenza della Camera. Nessuno può obbligarlo a dimettersi; la scelta può essere soltanto sua. L'intellettuale di maggior spicco tra quelli vicini al nuovo partito, il professor Alessandro Campi, auspica che il leader si concentri sulla battaglia politica, con la piena libertà di adeguarsi alle asprezze con cui sarà combattuta nei prossimi tempi. È un consiglio su cui Fini, prima di prendere la sua decisione, farebbe bene a riflettere».

1 comment:

JimMomo said...

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