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Monday, October 25, 2010

A carte sempre più scoperte/4

A Fini ormai manca solo l'orecchino alla Vendola

Le fibrillazioni di questi giorni dimostrano, per quanti ancora ne dubitassero, chi lavora alla destabilizzazione. Anzi, chi ormai non può farne a meno. Il ruolo di Fli come "terza gamba" della coalizione è stato di fatto accettato (come si vede, una grave minaccia per l'esistenza stessa del Pdl, dal momento che ora chiunque si chiede se non convenga trattare da fuori la propria "lealtà" al governo); la campagna stampa nei confronti di Fini è se non del tutto cessata, di molto attenuata, proprio come chiedevano i finiani come condizione per intavolare un dialogo; sulla giustizia si sta procedendo con un confronto e non con diktat, di fatto un "patto di consultazione". Insomma, incondizionato riconoscimento della componente finiana, ma proprio nel momento in cui i cosiddetti "pontieri" lavorano per rafforzare la tregua nella maggioranza, ecco che Fini butta benzina sul fuoco con vecchie e nuove provocazioni. Quanti chiedevano a Berlusconi di accettare il suo ruolo dialettico e di arrivare a un compromesso per il prosieguo della legislatura sono stati accontentati, ma emerge sempre con maggiore chiarezza che a Fini non interessa trovare un modus vivendi nella maggioranza, che non si accontenterà di alcun punto d'equilibrio.

Non tanto i suoi, ma è lui a non potersi permettere una normalizzazione. E' costretto a rilanciare in continuazione, a trovare spunti sempre più polemici di logoramento: per mantenersi al centro del dibattito politico; per continuare a far credere alle opposizioni di poter far cadere Berlusconi (assicurando al contempo la propria disponibilità a un governo tecnico per evitare elezioni immediate, e persino ad un'alleanza elettorale di emergenza  «a prescindere dalla provenienza politica»); e per controbilanciare, almeno a parole, gli atti concreti di sostegno al governo cui sono tenuti i suoi gruppi in Parlamento. Non solo, dunque, Fini torna a parlare di governo tecnico (insieme a D'Alema), proprio nel momento in cui nessuno più nella maggioranza parla di elezioni e in cui il governo sta cercando di rilanciare la propria azione (federalismo, giustizia, riforma fiscale). Ora dà l'impressione di volersi rimangiare anche l'impegno sul Lodo Alfano. Nessun impegno verrà onorato con lealtà, l'obiettivo di Fini è sì il prosieguo della legislatura, ma nel logoramento continuo del governo, passando da un veto all'altro. E se la corda si spezza, l'importante è che non si voti subito.

Solo pochi giorni fa i finiani si erano impegnati a votare il lodo nella versione votata in Commissione Affari costituzionali del Senato (e a Mirabello Fini aveva inequivocabilmente assicurato il sostegno di Fli al lodo costituzionale). Impegno che sembra ora messo in forse dalla nuova condizione posta da Fini, che nulla ha a che vedere con l'obiezione - condivisibile nel merito, anche se inopportuna nel metodo - del capo dello Stato. Proprio perché il lodo si riferisce alla carica e non alla persona che la ricopre in quel momento, dev'essere garantita la sua reiterabilità. Se la serenità dello svolgimento delle funzioni delle alte cariche è meritevole di tutela dai processi, come più volte ribadito dalla Consulta, lo è sempre e non per un solo mandato. E' un principio che "viaggia" insieme alla carica, non alla persona, anzi una prerogativa della carica stessa. Si può non condividere il principio di una tutela temporanea per le alte cariche dai procedimenti giudiziari, ma non allo stesso tempo essere favorevoli al principio e contraddirlo con la sua non reiterabilità.

E a mio avviso le ultime dichiarazioni "vendoliane" di Fini sulle rendite finanziarie e su Marchionne sgombrano il campo da ogni dubbio (per chi ne avesse ancora) sulla pura strumentalità delle posizioni di merito che di volta in volta assume. Può vestire con estrema disinvoltura i panni (poco credibili) del liberista e del riformatore, come quelli post-bertinottiani dei tassatori delle "rendite" (leggi risparmi). Qualsiasi occasione e posizione è buona, l'importante è il "controcanto" a Berlusconi e al governo. Paradossale (e patetica) la replica a Marchionne: è vero che «è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano, lo Stato, a impedire alla Fiat di affondare», ma il tentativo dell'ad oggi è proprio quello di emanciparsi da tale aiuto, di riuscire a farla sopravvivere in Italia senza sussidi statali. Ma questo è possibile solo aumentando la produttività degli stabilimenti e spronando forze politiche e parti sociali ad assumere decisioni volte ad accrescere la competitività complessiva del sistema (non solo il costo del lavoro, ma anche infrastrutture e giustizia civile all'altezza, burocrazia e tasse più leggere, che competono strettamente alla politica). Ma non capire che lo sforzo di Marchionne, anche in chiave critica nei confronti della politica, è proprio questo, vuol dire o non avere la più vaga idea di quanto sta accadendo, o fare della demagogia in malafede.

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