Pagine

Friday, October 08, 2010

Nobel a Liu Xiaobo sveglia anche per l'Occidente

Oggi è il giorno di Liu Xiaobo, Nobel per la pace 2010. Prima il liberale Vargas Llosa Nobel per la letteratura, poi Liu, quest'anno i Comitati per i Nobel sembrano rinsaviti. Dopo anni di politically correct, e un anno dopo la decisione ridicola, anzi grottesca, di conferire il primo Nobel "preventivo" della storia, quello al presidente Obama, di fatto un premio alle sue buone intenzioni, per cose solo annunciate e che ancora oggi è lungi dal realizzare, il Nobel per la pace recupera una certa credibilità.

Insieme a Liu Xiaobo vincono gli attivisti per la democrazia e i diritti umani in Cina (tra cui Bao Tong), vincono i duemila sottoscrittori di Charta '08, di cui avevamo parlato due anni fa, vince l'idea di un Occidente meno timido, più fiducioso nella validità universale dei suoi principi e del suo stile di vita. E' un premio che ci ricorda quanto sia ancora lunga la strada che la Cina deve percorrere prima di ergersi a modello, e che dovrebbe ricordare ai cinesi che la crescita economica non è tutto, che non si è una superpotenza, non si è al pari di Stati Uniti ed Europa, finché non si è in grado di emanare, anziché l'immagine dell'oppressione, un modello di vita desiderabile e attraente oltre i propri confini.

Il governo cinese farà la sua sfuriata ma come al solito farà due fatiche. La sensazione infatti è che al di là della propaganda di regime, che parte d'ufficio in questi casi, tornerà molto presto al business as usual. A ben vedere, nessun incontro con il Dalai Lama, nessuna presa di posizione sul Tibet o contro la censura ha di fatto mai provocato danni permanenti ai rapporti tra le capitali occidentali e Pechino. La verità è che se non possiamo permetterci di isolare la Cina, i cinesi hanno bisogno di noi almeno quanto (e forse di più) noi di loro.

Quindi è inutile autocensurarsi, mordersi la lingua su temi come la democrazia, la libertà d'espressione, i diritti umani. La loro promozione dall'esterno e dall'interno della Repubblica popolare può, deve (perché ci conviene) andare di pari passo con lo sviluppo delle relazioni commerciali e del dialogo sulle grandi questioni globali, da quelle economico-finanziarie a quella climatica. Si può, si deve chiedere alla Cina di aprire i suoi mercati, di rinunciare alla concorrenza sleale, di rivedere la sua politica monetaria, così come si può e si deve chiederle di aprire la sua società, di avviare riforme politiche. I due approcci non sono alternativi se perseguiti in modo intelligente, perché l'interdipendenza è reciproca e dovremmo liberarci del complesso d'inferiorità secondo cui il nostro declino a vantaggio dell'ascesa cinese sarebbe inevitabile, e quindi dovremmo rinunciare a condizionare lo sviluppo anche politico della Cina.

No comments: