Oggi, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco denuncia il «probabile affossamento della riforma universitaria», perché nonostante fosse fissato l'avvio dell'esame alla Camera per il 4 ottobre, la conferenza dei capigruppo l'ha rinviata al 14 ottobre. Peccato che «il 15 ottobre comincia la sessione di bilancio e la discussione dovrà essere subito sospesa per almeno un mese». Per non parlare delle eventuali elezioni anticipate a marzo, che rimanderebbero il tutto alla prossima legislatura. E' vero, come osserva Panebianco, che «varare una così importante riforma significherebbe dire al Paese: è vero, siamo immersi in risse continue, ma sappiamo anche, su questioni concrete come il destino dell'istruzione superiore, portare a termine i nostri progetti». Ma è anche vero che è azzardato imputare la responsabilità dello slittamento ai capigruppo della maggioranza. Anzi, proprio quello della riforma universitaria è un caso esemplare degli enormi poteri del presidente della Camera e dell'uso politico che ne fa Fini, per ritardare e intralciare la realizzazione del programma di governo.
Sarà che in molti credono che sia la maggioranza a stabilire il calendario dei lavori - com'è ragionevole che sia - ma non è così. Prevede il regolamento della Camera, infatti, che il calendario sia approvato «con il consenso dei presidenti di gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai tre quarti dei componenti». Cosa succede se - come quasi sempre accade, visto che i gruppi di maggioranza raggiungono al massimo il 55% e non il 75 - non c'è l'accordo dei tre quarti? Decide il presidente. Ed è proprio quello che ha fatto Fini sulla riforma dell'università: tra la richiesta di Pdl-Lega (avviare subito l'esame della riforma) e quella di Pd-Idv-Udc (rinviare a dopo la sessione di bilancio), ha ritenuto di "mediare", fissando l'esame per il 14 ottobre. Peccato che di fatto sia come averla rinviata a dopo la sessione di bilancio (dal momento che inizia il 15 ottobre), cioè come volevano le opposizioni. Insomma, l'impressione è che nel rinvio ci sia più che uno zampino di Fini e ciò dimostra che alla luce del ruolo politico attivo che ha deciso di giocare, le sue decisioni sollevano sospetti più che legittimi.
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