Caro direttore, va bene il Prodi guerriero, ma non neocolbertista. Certo, la reciprocità bisogna esigerla, ma nel libero mercato, non rinchiudendoci per ritorsione, danneggiando solo noi stessi e alimentando le tendenze protezioniste anziché combatterle. L'Italia, avendo molte ragioni dalla sua, colga l'occasione per sollevare in Europa la questione dell'apertura dei mercati; denunciare il protezionismo francese; dire che il compromesso sulla Bolkestein è stato un errore; stringere un solido asse "mercatista" con Blair. Nell'accezione comune e, bisogna dirlo, nella storiografia "ufficiale", alla Gran Bretagna viene attribuito il ruolo di freno del processo d'integrazione europea. Pesano pregiudizi anti-mercato e il sospetto per la special relationship con gli Usa. Chissà che una storiografia più coraggiosa non riesca invece a rintracciare nella Francia quel germe anti-europeista che nei momenti clou prevale. Prevalse con la Ced, la Comunità europea di difesa, bocciata nel 1954, che poteva fare da volano a un progetto di Europa federale o confederale; prevale oggi con il no alla costituzione e il caso Suez, colpi tremendi al mercato unico, che sembrava un dato acquisito.
Su protezionismo ed Europa il commento "definitivo" è quello di Panebianco, ieri sul Corriere, e di Sergio Romano oggi, che definisce le politiche protezioniste «una sindrome cattiva per l'Europa, pessima per l'Italia».
«L'Europa sopravvivrà soltanto se i singoli governi smetteranno d'interferire nella logica del mercato. Senza una grande economia non esiste forza politica. Senza forza politica non esiste indipendenza. Chi ancora spera che questa indipendenza possa essere salvaguardata su scala nazionale commette un errore imperdonabile».«Pessima» per l'Italia, perché ne accelera il declino. Il partito trasversale del patriottismo economico-finanziario vuole proteggere i "beni di famiglia" più che i beni della nazione.
«Gli uomini d'affari meno intraprendenti vogliono coltivare l'orto di casa senza esporsi al vento della concorrenza e dell'innovazione. Gli uomini politici vogliono banche e aziende con cui stabilire rapporti di convenienza elettorale e clientelare. I sindacati proteggono chi ha già un lavoro e vogliono interlocutori contro i quali sia possibile usare le armi di cui dispongono. Tutti parlano di interesse nazionale, di bene comune, di patriottismo economico. Ma pensano a conservare rendite di posizione, rapporti di scambio, il piccolo mercato dei favori dati e ricevuti».L'unica replica possibile è andare a Bruxelles, alzare i toni del dibattito e costringere l'Europa a denunciare il protezionismo e ad affrontare la questione dell'apertura dei mercati.
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