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Friday, March 31, 2006

... a meno che l'avversario non sia Berlusconi

Berlusconi e Prodi al primo duello tv«In un paese normale Prodi avrebbe già perso». Avevo intitolato così, ieri, un post molto critico nei confronti di Prodi e dei leader dell'Unione per essersi fatti chiudere nell'angolo, come pugili suonati, dell'issue più congeniale a Berlusconi, quello delle tasse. Un lettore, Domiziano, che ringrazio, mi ha fatto notare che quella frase andava completata: «... a meno che l'avversario non sia Berlusconi». Accolgo in pieno l'emendamento e ci intitolo questo post, il seguito ideale del precedente.

Mettiamola così. Cosa succede in un esasperato tiro alla fune se uno dei due contendenti molla un po' la presa? L'altro rischia di rovinare a terra. Ciò che è successo è che nonostante una campagna condotta all'attacco, cercando di recuperare i "suoi" delusi, Berlusconi sui contenuti ha mantenuto un basso profilo e Prodi s'è rovinato con le sue mani innanzitutto dal punto di vista comunicativo. Questo non vuol dire però che nel centrodestra s'intravede una politica economica liberale. O comunque, rispetto al 2001 (per non parlare del '94), la tendenza, persino nel linguaggio di Berlusconi (chi sente più «libertà d'intrapresa»?) va verso la progressiva dispersione della spinta riformatrice in senso liberale.

Anche il centrodestra promette, nero su bianco, più spesa pubblica, e alcune misure insopportabilmente assistenziali: le pensioni sociali a 800 euro; la carta oro per gli anziani; il sussidio bebè, anche se di entità minore di quello prodiano, ma compensato dalla nebulosa idea del "quoziente famigliare". Il tutto facendo bene attenzione a non dire da dove si prendono i soldi. Cartolarizzazioni, hanno detto, privatizzazioni, riduzione degli sprechi. Un po' vago: cosa si vuole privatizzare, visto che in questi anni, con una maggioranza schiacciante, non s'è fatto? Prodi, diciamolo, ha voluto fare il "corretto", ma ha dato i numeri e da tutta la coalizione è cominciato a trasudare vecchiume statalista.

Anche il centrodestra è stato, tra l'altro, a un passo dall'introdurre una tassazione ben più pesante delle rendite finanziarie, al 24%, proposta da Alemanno per An, dall'Udc, e in parte dalla Lega. Per poco non gli riuscì di convincere Forza Italia, ma è ragionevole presumere che, se di nuovo al governo, torneranno alla carica, aiutati anche da una leadership di Berlusconi presumibilmente via via più indebolita.

Prima di redistribuire ricchezza, occorre produrla. E' questo, guarda caso, il problema dell'Italia e il grande tema in tutte le società moderne. A redistribuire, in un modo o nell'altro, chi più chi meno, sono bravi tutti, ma a sostenere lo sviluppo, addirittura a rilanciare un paese fermo? Il tema invece resta fuori dalla nostra campagna elettorale. Entrambe le coalizioni s'impegnano a spiegare come spenderanno soldi che non ci sono. Esistono due modi: dare da una parte, togliere dall'altra; indebitarsi.

L'unico modo serio per spostare risorse in un settore ritenuto strategico sarebbe quello di intaccare la spesa pubblica e previdenziale, che a beneficio di pochi iper-tutelati azzerano la mobilità sociale e tengono fermo il paese. Chi non fosse disposto dovrebbe per lo meno impegnarsi nelle liberalizzazioni, le riforme a costo zero, come chiede la Rosa nel Pugno con l'"agenda" Giavazzi. Non essendoci soldi che permettano di abbassare le tasse da una parte senza contemporaneamente alzarle da un'altra, o senza ridurre la spesa, meglio cercare di scuotere il paese cambiando e semplificando le regole del mercato del lavoro, dei servizi e delle professioni.

Il problema l'ha capito Roberto Perotti, con il suo editoriale di ieri su Il Sole24Ore: «Chiunque vinca, anche nella prossima legislatura non assisteremo alla nascita di un welfare state moderno in Italia, che affronti con competenza il problema dei veri poveri. Per questo sono necessarie risorse che possono venire solo da una riduzione della spesa per le pensioni e per il personale pubblico, entrambe tra le più alte d'Europa. E nessun governo di destra o di sinistra lo farà mai. Sono necessarie anche competenze specifiche: non si improvvisano dall'oggi al domani programmi di welfare to work efficaci, soprattutto se vengono concepiti e attuati da persone che non comprendono o non accettano l'economia di mercato».

Sulla tassazione delle rendite finanziarie la pensiamo come Oscar Giannino. Non siamo contrari per principio all'aliquota unica, ad armonizzare i trattamenti fiscali di tutti i redditi, ma perché non si portano tutti al 12,5%? Perché, appunto, si vogliono aumentare le tasse e non diminuirle. E nel nostro paese un solo cent che finisce nel carrozzone senza riforme è un cent buttato. Abbiate il pudore di non chiamarla giustizia sociale.

Ci sarebbero soluzioni eque, ricorda Giannino, ma guarda caso «i sostenitori dell'aggravio sui Bot non abbracciano alcuna delle due soluzioni indicate: né flat tax, né dichiarazione unica di tutti i redditi» come negli Stati Uniti. «E' un modo di tosare la lana laddove è più facile raderla, per reperire risorse allo Stato. Niente però che abbia a che fare con la giustizia sociale».

Intanto l'Australia va, con l'approvazione della nuova legge sul lavoro e i rapporti industriali annunciata nell'ottobre scorso, di cui avevo parlato in questo post. Su Il Sole24Ore leggiamo: «Contrattazione individuale al posto di quella collettiva, sostanziale annullamento del potere dei sindacati, forti limitazioni al diritto di sciopero, ampia libertà di licenziamento senza giusta causa» per le aziende con meno di cento dipendenti.

Mi sta particolarmente a cuore il principio della libertà contrattuale, uno dei cardini del libero mercato, qui in Italia praticamente soffocato. Agli antipodi (in tutti i sensi) hanno introdotto cinque requisiti minimi di contrattazione universale: salario minimo orario (che saranno fissati da una Fair Pay Commission), quattro settimane di ferie all'anno, dieci giorni di malattia, 12 mesi di congedo parentale non retribuito e una settimana lavorativa di 38 ore. Il resto potrà essere discusso caso per caso. Quella dei requisiti minimi universali, anche se non con un assetto così liberista, è comunque la proposta di Boeri per liberalizzare la contrattazione.

4 comments:

Anonymous said...

Prova a parlare dell'esempio aussie al compagno Boselli. Vediamo un pò cosa ti risponde.

E non mi ribattere dicendo di parlarne con Alemanno. Non ce l'ho nello stesso partito e per di più come co-leader. :-))

magister said...

sl, parlane con Miccichè

Anonymous said...

l'esempio aussie sarebbe bellissimo, ma nessuno di voi ha presente cosa sono le piccole aziende in italia? sarebbe mobbing a tutto spiano, non c'è un briciolo di cultura della employee satisfaction.
sull'agenda giavazzi e sul modello danese (o svizzero, che io ho conosciuto in prima persona) sono d'accordissimo, così come sono dell'idea che più libertà di licenziamento crea più lavoro, ma li vedo già, da noi, licenziare quello valido per assumere l'amico dell'amico, il cugino del politico, l'amante del direttore.

JimMomo said...

La tua è un'obiezione più che fondata. Questo accade perché nel nostro mercato le aziende godono comunque di nicchie di protezione e tutela. Lo stato sussidia anche l'impresa. Meno soldi anche alle imprese, servono riforme delle regole.

Secondo me con un mercato davvero concorrenziale non si potrebbero permettere di investire il costo lavoro in asini e raccomandati.